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Troppo tempo per il rifornimento. Aggredito Riccardo Scamarcio

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Una normale sosta alla pompa di benzina si è trasformata per Riccardo Scamarcio in una brutta disavventura. L'attore è stato aggredito dall'autista di un camioncino mentre, con un amico, era impegnato a fare rifornimento a Noicattaro, in provincia di Bari.

Prima una raffica d'insulti, poi il camionista è passato alla mani, forse stufo di aspettare. È sceso dal suo veicolo e ha aggredito Scamarcio, strappandogli la camicia, prima di ripartire a tutto gas. L'attore ha presentato denuncia. L'uomo è già stato identificato.

Identificato un camionista. L'attore ne è uscito con la camicia a brandelli


la recensione

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Negli Usa ha debuttato raccogliendo, in tre giorni, la bellezza di 56 milioni di dollari che uniti a quelli incassati fuori dal suolo americano fanno 130 milioni di dollari; azzerando, in 72 ore, in pratica, il costo del film (150 milioni di dollari). Soldi ben spesi dal pubblico perché Mission: Impossible - Rogue Nation , quinto capitolo della saga dedicata all'agente Ethan Hunt (da noi visibile solo dal 19 agosto), è il più coinvolgente di tutto il franchise, dimostrando che quello dei troppi sequel hollywoodiani è un falso problema. In 130 minuti si possono gustare almeno quattro scene d'azione da restare a bocca aperta, tutte girate personalmente dal longevo Tom Cruise, l'ultimo vero divo che transita ancora dalle parti di Los Angeles. Così, ecco l'agente Hunt aggrapparsi con la forza delle sole mani al portellone di un aereo in volo, immergersi al limite dell'asfissia per portare a termine l'ennesima missione impossibile, destreggiarsi tra le vie di Casablanca in un inseguimento in moto che lascia la platea senza fiato per la qualità delle riprese, cercare, a venti metri di altezza dal palcoscenico, di impedire un omicidio eccellente, durante una Turandot austriaca, tra continui colpi di scena e senza quasi proferire una sola parola. Molto del merito va a Christopher McQuarrie, uomo di fiducia di Cruise con il quale ha già ampiamente collaborato in passato, capace di dirigere in maniera impeccabile un coro polifonico che esalta le qualità di tutti i suoi protagonisti. Azione, sì, ma anche una trama che pur regalando continui snodi, risulta fruibile dal pubblico, non costretto ad interpretare cervellotiche scene. La IMF è stata sciolta dal Governo americano e Hunt è ricercato dalla CIA. Tutto a causa del «Sindacato», una fantomatica organizzazione criminale, composta da ex agenti speciali qualificati, che vuole creare un nuovo ordine mondiale attraverso vari attentati terroristici. Toccherà a Hunt e ai suoi compagni fermare la minaccia, con l'aiuto di Ilsa Faust, ex agente britannico, in odore di doppiogioco. Tenendo conto della lezione Marvel, le scazzottate sono alternate a scene che strappano risate, grazie ad un meraviglioso Simon Pegg e ai convincenti Jeremy Renner e Alec Baldwin. Menzione a parte merita la sorprendente Rebecca Ferguson, impeccabile e indecifrabile agente. Ancora una volta, il divo Tom Cruise ha portato a termine la sua Mission Impossible al botteghino.

Licenza di uccidere? Macché, le vere spie sono degli impiegati

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Tom Cruise è appena sbarcato nelle sale con il suo nuovo Mission: Impossible - Rogue Nation. E gli americani fan la fila per vedergliene combinare di ogni nei panni dell'agente Ethan Hunt. C'è da aspettarsi che lo faranno anche gli italiani a partire dal 19 agosto. Del resto il genere spy story tira sempre e i vari 007 o Jason Bourne sono dotati di gingilli sempre più tecnologici e danno vita a sparatorie sempre più spericolate. Ma quanto di ciò che vediamo sullo schermo ha una, pur lontana, verosimiglianza? Quasi nulla, secondo il dottor Vince Hougton, curatore dell'International Spy Museum di Washington che è stato interrogato (anche se senza pentothal) sul tema da Vanity Fair Usa. In questa pagina condensiamo alcuni degli appunti, ma sarebbe meglio dire segnacci con la matita blu, da lui mossi alle trame dei film di spionaggio più gettonati del momento, Mission Impossible compreso.

NIENTE SPARI E POCHE TECNOFOLLIE

La cosa rattristerà quasi tutto il pubblico, ma le spie non accoppano quasi mai la gente. Men che meno le altre spie. Afferma Hougton: «Se avessi lavorato come infiltrato per la Cia nell'Unione Sovietica e fossi stato catturato, avrei avuto una copertura diplomatica... Mi avrebbero arrestato per un paio d'ore e torchiato. Ma poi mi avrebbero rispedito a casa. Perché se ammazzi uno dei nostri, noi subito dopo ci mettiamo a cercare e ammazzare i tuoi. La situazione è cambiata solo con il terrorismo». Inoltre, è vero che i gadget della spia sono un classico a partire dai film di 007. Ci sono penne che sparano, sensori, microradio, localizzatori. Qualcuno assomiglia davvero alla strumentazione dei veri agenti segreti. Ma è difficile sapere con esattezza che cosa, perché l'attrezzatura resta top secret anche anni dopo che è stata dismessa. Ma pare che molto spesso siano i film a dare l'ispirazione. Secondo i bene informati più di un direttore della Cia si è presentato dai reparti scientifici chiedendo se quel particolare giocattolo di James Bond si poteva fabbricare davvero. E non sempre la risposta è stata «no». Ma anche quando la risposta è stata «sì», si sono trovati sistemi molto più semplici per fare le cose.

CORPO A CORPO

Sì, gli agenti dei principali servizi segreti sono addestrati al corpo a corpo e a resistere agli interrogatori. E anche a maneggiare le armi da fuoco. Ma la maggior parte di loro passa la gran parte del proprio servizio operativo senza impugnare mai un'arma. Questo vale anche per gli agenti operativi. Ed è assolutamente la norma per tutti gli agenti delle strutture di supporto che sono molto più numerosi.

BEI COMPLETI

Pare ci siano decine e decine di agenti che vorrebbero essere inviati in un casinò vestiti in smoking. Ma è molto più facile che debbano passare il loro tempo travestiti da benzinai fuori da una lavanderia a gettoni gestita da un sospetto di terrorismo. E invece di giocare alla roulette gli tocca sbobinare ore e ore di registrazioni in un dialetto arabo scarsamente comprensibile. Poi per consolarsi vanno al cinema a vedere Mission Impossible.

NIENTE TARTARUGA

Gli agenti segreti hanno un lavoro stressante ed è meglio che siano in forma. Ma è meglio se sono poco appariscenti e di certo non hanno un fisico da modello. Anche l'operazione di sedurre le femmine pare sia riservata a una minoranza. E spesso non gli tocca una bellona, anzi...

PROTOCOLLI

È la cosa su cui Vince Hougton insiste di più. Gli agenti non hanno colpi di testa e fanno quello che è previsto che facciano. Non soltanto per non restarci secchi, ma banalmente per non essere licenziati. Ecco forse perché secondo lui il film di spionaggio più realistico di tutti i tempi è La talpa (2011). Quello che ha fatto dormire il pubblico.

Le pellicole hollywoodiane sono piene di sparatorie e macchine di lusso. Ma gli esperti non ci stanno. Ecco una guida per punti che confronta sceneggiature e operazioni vere

Insulti scritti sui poster, Mika contro gli omofobi: "Sbagliato avere paura"

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Una scritta che lascia ben pochi dubbi. E una risposta forte. Perché bisogna "rompere il silenzio", dice Mika. E non accettare insulti omofobi.

Così il cantante e giudice di X Factor ha deciso di rispondere a chi, sui poster che pubblicizzano il suo concerto a Firenze, a scritto a vernice quel "frocio" rivolto a lui, che - scrive su twitter - all'inizio aveva pensato di lasciar correre.

"Avevo visto la foto della scritta sui miei manifesti e il mio istinto era di lasciar stare", ha spiegato Mika ai suoi follower, dicendo di "conoscere bene l'odio di alcune persone" e pensare che sia meglio ignorarlo. Ma di essersi poi convinto che qualcosa invece andava fatto.

"Non ho paura di chi discrimina. Nessuno deve averne - ha aggiunto, ancora su twitter, il cantante -L'amore fa quel che vuole". E per rimarcare il fatto ha sostituito la sua foto profilo con l'immagine incriminata, rispondendo così all'insulto gratuito. Il cantante di origini libanesi è dichiaratamente omosessuale e al tema ha dedicato anche alcuni brani della sua discografia.

"Ottenere pari diritti per gli omosessuali è un fatto inevitabile, nell'evoluzione umana. Si tratta solo di buonsenso", aveva dichiarato nel 2013, in un'intervista a Vanity Fair, dopo avere partecipato alle manifestazioni per la legge sulle unioni gay a Parigi. Parlando della situazione italiana, aveva criticato una "influenza della Chiesa" forte, aggiugendo: "Se l'omosessualità non è un reato, allora che c'è di male nella parità dei diritti?".

Sui manifesti che pubblicizzano il live fiorentino scritte ingiuriose. "Volevo lasciar perdere, ma dobbiamo rompere il silenzio"

Lo yacht di 86 metri è troppo piccolo. E Spielberg lo vende

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Ottantasei metri non bastano più: Steven Spielberg ha deciso di vendere il suo mega-yacht da 170 milioni di euro perché è troppo piccolo. Ma il nuovo "giocattolo" del regista di Hollywood, da 226 milioni di euro, che sembra sia già in costruzione, sarà lungo solo cinque metri in più, scrive oggi il Mail online. La nuova imbarcazione, da 91 metri, sostituirà il Seven Seas, un gigante di lusso degli oceani con sette camere matrimoniali, un cinema, una piscina, una palestra, una sala massaggi, un centro termale e una pista per elicotteri.

Nel 2013 il regista, sua moglie Kate Capshaw ed i loro sette figli lo hanno usato per un giro del mondo di 50mila chilometri con soste nelle principali locations dei film del regista, incluse Shanghai, dove è stato girato Empire of the sun, e le Hawaii, che ha ospitato Jurassic Park. E Seven Seas si può anche noleggiare per 1,13 milioni di euro a settimana, una cifra che lo rende uno degli yacht più costosi al mondo sul mercato dei charter. "Steven non si era reso conto di quanto gli piacesse solcare gli oceani - ha commentato un amico -. Adesso gli piacerebbe trascorrere più tempo esplorando i mari, insieme a pochi amici. Per questo sta passando a uno yacht più grande".

Il regista ha deciso di vendere il suo mega-yacht da 170 milioni di euro perché è troppo piccolo

Con la Maggioni la Rai fa tris di esperte in flop

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Devo fare ammenda. Ho trattato troppo male Monica Maggioni subito dopo la sua nomina a presidente della Rai. Ho esagerato nel dire che è maestra di formidabili insuccessi. Mi correggo: se la cava egregiamente nell'arte dei flop. Nella direzione di Rainews ha dimostrato una certa attitudine a menare il can per l'aia. Oddio. In Rai forse non esistono aie, ma i cani abbondano. Inoltre mi sono dimenticato di precisare che alla presidenza dell'antennona ne abbiamo viste di peggiori: Lucia Annunziata non riuscì neppure a portare a termine il mandato. Ci domandiamo ancora con quale criterio ella fu selezionata, in tempi in cui il centrodestra aveva in mano lo scettro.

La signora campana, prima di sedere sul trono di viale Mazzini, si era fatta le ossa rotte alla direzione del Tg 3. Nonostante ciò proseguì nella sua ascesa fino ai vertici. Anche adesso è presente in azienda con l'incarico di condurre ogni domenica un programma di interviste che ha il pregio di intitolarsi In 1/2 h , in quanto dura 30 minuti, nel corso dei quali si distingue professionalmente per la bastonatura sistematica degli ospiti che non siano di sinistra, e per la tenerezza che riserva ai progressisti. Questione di feeling.

C'è poi Anna Maria Tarantola, voluta dal suo sosia al maschile, Mario Monti, allorché questi alloggiava nel tabernacolo della patria, Palazzo Chigi. Non sono in grado di giudicarla, perché il suo passaggio alla presidenza del consiglio di amministrazione non si è avvertito. Una donna comunque straordinaria per le sue formidabili capacità di rendersi invisibile. In pochi anni, tre donne si sono avvicendate in quella che viene definita la più grande e importante fabbrica culturale d'Italia, benché di cultura ne abbia prodotta in quantità omeopatiche.

Un tempo si invocavano le quote rosa per fare largo alle persone di genere femminile; attualmente bisogna cambiare registro e pretendere le quote di un altro colore, in cui si identifichino i maschi, ormai parificati agli extracomunitari, anzi, ai profughi, stroncati dall'evoluzione dei costumi. Intanto godiamoci le perle offerte dai palinsesti estivi e sudaticci dell'ex monopolio. Perle usate ma sicure. Raidue ha infilato nel menu un piatto immarcescibile che periodicamente va in onda da decenni: Il commissario Rex , tanto per rimanere in campo cinofilo, dato che, come ben sanno i connazionali pensionati, Rex è un immortale pastore tedesco più intelligente di chi ne decide le esibizioni replicate sul video.

Per fortuna su Raiuno propinano Techetechetè , un titolo cretino per un contenuto ricercato, interessante, capace di riproporre il passato quale specchio del presente. Complimenti agli autori: vista la loro bravura, è strano che non siano stati fin qui silurati. Ma non è tardi per provvedere a colmare la lacuna. Anche Raitre soffre di disturbi stagionali, patisce il caldo e sforna la solita insalata rossa, servita da Agorà con il tipico stile della casa: liti in studio tra ospiti opachi che suppliscono con l'aggressività alla mancanza di argomenti. Complessivamente il risultato non è eccellente, ma neppure disgustoso.

La7 di Urbano Cairo va avanti imperterrita per la sua strada disseminata di posti ristoro: da Coffee break a In onda , transitando dall' Aria d'estate , tutta roba dignitosa se non altro perché confezionata con mezzi sobri (in questo caso sinonimo di poveri). Della sezione feriale di Mediaset non mi occupo per ovvi motivi: non intendo sputare nel piatto dove non ho mai mangiato un boccone. Preferisco denutrirmi in altre mense non gestite dai parenti del Giornale .

Un tempo si invocavano le quote rosa, ora bisogna pretendere le quote di un altro colore, in cui si identifichino i maschi, ormai parificati agli extracomunitari

Capo d’Orlando, successo per la settima edizione del Festival “Diventerò una stella”

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A causa della solita “nuvoletta di Fantozzi”, la serata sembrava non promettere bene. In realtà, passati i canonici dieci minuti di pioggia, tutto è andato per il meglio. Si tratta della settima edizione del Festival Nazionale Canoro “Diventerò una Stella” che, nato appunto nel 2008 da un’idea del suo Direttore Artistico, Maria Vitale in sodalizio con i suoi colleghi della Friends Music Academy di Rocca di Caprileone (Messina), dopo sei anni “stanziali” nella stessa Rocca di Caprileone da quest’anno ha deciso di diventare itinerante. Prima tappa di questa “tour dei Nebrodi”, la bella Capo d’Orlando. E, stanti gli eccellenti risultati (di pubblico e di qualità musicale) bene ha fatto l’amministrazione comunale capeggiata da Enzo Sindoni ad accaparrarsi, nella persona dell’assessore Rosario Milone, il “bottino”, quest’anno più che mai ricco grazie alla presenza in giuria di un Presidente Onorario di tutto rispetto, il cantautore fiorentino Paolo Vallesi che, guidato dall’eccellente accompagnamento del musicista Marco Colavecchio, ha regalato al pubblico siciliano un saggio dei suoi più grandi successi, Le persone inutili (con cui vinse la categoria Giovani, nel 1991, del Festival di Sanremo) e La forza della vita (con cui salì sul podio, al terzo posto, l’anno successivo classificandosi terzo, ma vincitore indiscusso in termini di copie vendute) su tutte.

Un’edizione, la settima, al contempo solita e nuova nella formula. Nuova perché per la prima volta la giuria era divisa in due: un gruppo (composto dal maestro Marco Vito, dal collega Valerio Barghini, dal regista Piero Di Maria, da Martina Miraglia, vincitrice della categoria Senior lo scorso anno e dal maestro Salvatore Saulle) che ha giudicato la categoria Junior; un secondo gruppo (formato dagli stessi Marco Colavecchio e Paolo Vallesi, oltre al produttore discografico Claudio Noto - Presidente della School of Talent, scuola di successo che si avvale della collaborazione di docenti prestigiosi con sedi, oltre che a Roma, anche a Vibo Valentia e, in Sicilia, a Marsala, Bagheria e San Filippo del Mela, ndr – e, direttamente dal talent Amici, Fabrizio Palma).

E proprio Fabrizio Palma è una presenza fissa di un Festival dove, anche quest’anno, sono approdate voci di tutto rispetto che hanno fatto ascoltare sia cover, sia inediti, spaziando tra i più svariati generi musicali, dal rap al melodico. Vincitori per la sezione Junior la bravissima Martina Cundari da Gangi (secondo posto a Sara Calderone, volto noto de I fatti vostri; terzo a Francesca Stabile, entrambe di Marsala); per la sezione Senior, podio per Calogero Virone, Alessandra Azzarello e Rosario Castiglia.

In giuria il cantautore fiorentino Paolo Vallesi che ha duettato con il musicista-arrangiatore-compositore Marco Colavecchio, della band degli O.R.O.

L'ex frate di Sanremo non fa voto di povertà: vuole quello delle urne

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Dai santini con l'immaginetta di San Francesco ai santini elettorali con l'effigie di Adriana Poli Bortone, fresca di bocciatura alle ultime elezioni amministrative alla Regione Puglia. Dura la vita per quel canterino di padre Cionfoli: da uomo del Signore (con un debole per Sanremo, quello del festival) a collaboratore di una signora - la Poli Bortone, appunto - dalle ondivaghe scelte politiche. Ma, per entrambi, i santi in paradiso non sono bastati. Una brutta parabola che ha finito col castigare perfino uno come Giuseppe Cionfoli, ex seguace di San Francesco (uno che coi lupi ci parlava, ma non li votava).

Sembrano ormai preistoria i tempi (anno domini, 1982) in cui il monaco, nato a Erchie (Brindisi) il 19 ottobre 1952, gareggiò a Sanremo con il brano «Solo grazie» diventando un caso nazionale. Ora giura che «il suo impegno politico non si esaurisce qui. Continuerò le mie battaglie, ho la testa dura». Candidato consigliere regionale per Puglia Nazionale, in campagna elettorale l'ex religioso («Ma continuare a sentirmi chiamare “padre”, mi fa sempre piacere...») è stato ospite della trasmissione radiofonica «Un giorno da Pecora» dove ha parlato anche degli immigrati proclamando che «una delle priorità da affrontare in Puglia è quella dei mezzi pubblici: sporchi a causa degli immigrati che non hanno buona educazione», ha detto Cionfoli.

Quindi, secondo lei, in Puglia - gli è stato chiesto - gli extracomunitari urinano per terra? E lui, per nulla misericordioso: «Certo, lo fanno apposta. Sono diventati arroganti, fanno sempre storie coi controllori perché non hanno i biglietti. Si tratta di extracomunitari e zingari che da Bari si spostano a Barletta e viceversa». Di rimbalzo, le due indisponenti pecore radiofoniche hanno domandato: «Come si risolve questo problema?». E padre Cionfoli, neanche fosse quel leghista di don Salvini: «Con più vigilanza!». Una vocazione destrorsa che Giuseppe spiega così: «Anche Gesù era seduto alla destra del Padre».

Ma con lo stipendio da consigliere cosa avrebbe fatto? «Avrei aiutato figli e nipoti (già perché, spogliatosi del saio, è diventato padre davvero, e pure nonno) poi gli altri». Sulla polemica degli impresentabili non risparmia critiche neppure al suo stesso partito: «Anche nella nostra lista c'era una persona che non doveva stare lì. Ma non l'ho detto a nessuno, visto che a inserirla era stato un pezzo da 90...». Tutta fatica sprecata, anche se gli elettori non hanno mancato di mostrargli il proprio apprezzamento. Lui, saggiamente, fa autoironia: «I miei santini non hanno fatto il miracolo, ma sarà per la prossima volta».

Quartier generale politico-artistico è la sua villetta alle porte di Bari. Alle pareti dello studio dove compone la musica che lo ha reso famoso - riferiscono i cronisti che lo hanno seguito nella sua battaglia elettorale - spiccano i poster del suo primo disco. Ovunque sculture, quadri e installazioni realizzate personalmente e che gli sono valsi «i complimenti di molti critici». Lì convivono serenamente il mezzobusto di Almirante e il quadro di Padre Pio destinato a Silvio Berlusconi «che non è stato possibile consegnargli per gli imprevisti nel suo tour pugliese». A proposito del Cavaliere ha parole di comprensione: «Non è un santo, ma ha il merito di averci liberato dalla sinistra che significa aborti e matrimoni gay. E non intendo unioni civili che sono un'altra cosa». Nessuno sconto neppure per la sua collega Poli Bortone: «Qualche problemino ce l'ha pure lei. Del resto chi non ce l'ha? Perfino il Padreterno in Paradiso ha problemi».

Padre Cionfoli un bacchettone non lo è mai stato neanche quando era tutto chiatta e convento, figuriamoci ora che ha deciso di sporcarsi le mani con la politica: «Il nostro Paese ha bisogno di più partecipazione dal basso, le persone oneste e capaci devono entrare nelle istituzioni portando la loro carica rivoluzionaria...». Proprio come lui, che rivoluzionario lo è sempre stato: «Ad esempio non mi sono mai piaciuti le lodi e i vespri la sera». Nessuna nostalgia per quando era un povero fraticello: «Macché povero fraticello, la vita di convento non è così tanto povera, dove stavo io avevamo 10 automobili». Anzi, denuncia addirittura una insospettabile «fratopoli»: «Qualcuno tra i miei ex colleghi religiosi dovrebbe stare in galera. Ma non è successo niente perché il sistema è così, io proteggo te e tu proteggi me».

Mitico padre Cionfoli, gliele suona un po' a tutti. Anche se preferisce non allargarsi troppo. Profilo basso: «Se eletto, dopo aver aiutato i miei figli (anche gli ex cappuccini hanno famiglia), cercherei di risolvere il problema dei pullman nel nord barese sui quali non si può più viaggiare per i nostri fratelli extracomunitari. Non si può più viaggiare nemmeno sui treni: sono sporchi, si sfiora sempre la rissa». I grandi temi, dice, «li lascia agli altri». Da menestrello di Padre Pio, come è stato ribattezzato dal suo fan club, dedica a tutti due delle sue canzoni di maggiore successo: «Solo Grazie , per tutte le vittorie che si ottengono nella vita, e Shalom , in caso di sconfitte».

Ma, politica a parte, il monaco più amato dagli italiani non ha dimenticato certo il suo primo amore: la musica. E proprio in ossequio alla sua musa ispiratrice, riserva una dura scomunica a suor Cristina: «Il suo modo di atteggiarsi e le sue canzoni non mi piacciono affatto».

Apriti cielo, è bastata questa piccola critica a scatenare le ammiratrici della monaca vincitrice del talent «The Voice». Su «sound blog» la più scatenata e una tale Maltina: «Questo Cionfoli mi ha fatto davvero una brutta impressione. Addirittura pretende di conoscere cosa passa nella testa e nel cuore di un'altra persona. Che presunzione e quanto astio in questo ex frate che giudica e condanna senza appello. Le critiche che ha mosso contro suor Cristina dovrebbe rivolgerle innanzitutto a se stesso. Ai suoi tempi, non si limitò a cantare in una qualsiasi trasmissione televisiva, ma partecipò anche lui a un concorso canoro».

«Non scherziamo - replica padre Cionfoli -, io non ho mai cercato il successo sfruttando il saio». Ma Maltina è implacabile: «Anche se non aveva l'abito, tutti sapevano che era padre Cionfoli. Perché non si presentava semplicemente come Giuseppe Cionfoli? Non capisco quale sia la differenza». In realtà è a lui che sarebbe piaciuto vincere facile! Ma purtroppo lui non ce l'ha fatta e adesso sputa veleno sugli altri. Accusa suor Cristina di vanità e non rifiuta la visibilità che queste interviste, che grazie a suor Cristina sta collezionando, gli stanno offrendo». Ma don Giuseppe è uno tosto, con la polemica va a nozze: «Ho solo notato che suor Cristina aveva detto di avere un dono, ma se hai un dono, fai opera di carità e in silenzio».

L'implacabile Maltina torna a coglierlo in castagna: «Nelle interviste che ha rilasciato, sempre grazie a suor Cristina, si vanta di essere stato a Lugano a festeggiare il compleanno di un ragazzo down» e conclude dicendo: «Queste sono le cose belle e si fanno nel silenzio». «E allora perché ce le sta raccontando? Dovrebbe seguire il suo stesso consiglio e stare un po' in silenzio perché è veramente triste vedere uno che si professa cristiano giudicare e condannare il suo prossimo... oserei dire che stride con la vocazione cristiana».

A difendere padre Cionfoli, pensano sui social i suoi numerosissimi devoti: «Giuseppe è un vero musicista, un cantautore di livello eccelso. Altro che suor Cristina, capace solo di scimmiottare “Like a Virgin” di Madonna...». Scambiatevi, se possibile, un segno di pace. Di certo apprezzerà pure la Madonna. Quella vera.

Giuseppe Cionfoli dopo il successo al festival si è dato alla politica: alle ultime regionali in Puglia non è stato eletto. Ma non ha intenzione di mollare


Kim Kardashian: 42 milioni di fan su Instagram e scatto hot

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Kim Kardashian: 42 milioni di fan su Instagram e scatto hot 1
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Selfie mozzafiato e seno esplosivo: così Kim Kardashian festeggia su Instagram i suoi 42 milioni di fan. Per l'occasione, la sensuale brunetta immortala uno dei suoi lati più sexy e intriganti per la gioia dei follower

Seno hot in bella mostra su Instagram per festeggiare i suoi primi 42 milioni di fan: è questa la scelta di Kim Kardashian che nelle scorse ore ha raggiunto la notevole somma di follower sul social network dedicato alla fotografia. Incinta del secondo figlio dal marito Kanye West, la socialite più famosa dei reality made in USA non perde occasione di mettere in mostra uno dei lati più sensuali del suo fisico mozzafiato.

Ghostbusters 3: cameo di Ozzy Osbourne e Bill Murray nel reboot

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Altri due nomi d'eccezione si aggiungono alla rosa di attori di Ghostbusters 3, il reboot del successo degli anni '80 che tornerà nei cinema il 15 luglio 2016: si tratta di Bill Murray e Ozzy Osbourne, entrambi chiamati a partecipare con un cameo nella versione al femminile dell'originale firmato da Ivan Reitman.

Dopo le voci, successivamente confermate, della presenza di Dan Aykroyd che nelle due pellicole originali ha interpretato il ruolo del dottor Ray Stantz, alla nuova versione in rosa diretta da Paul Feig sarebbe pronto ad aggiungersi anche Bill Murray, il già caustico e scanzonato Peter Venkman; a dare la notizia è il magazine Variety. Oltre a Murray, attore di culto anche grazie alla pellicola Ricomincio da Capo diretta proprio dall'altro acchiappafantasmi Harold Ramis scomparso lo scorso anno, ad assicurarsi la presenza nel reboot sarebbe anche il carismatico frontman dei Black Sabbath; Ozzy è stato citato infatti come il protagonista dell'evento fittizio “Rock Revenge Fest con Ozzy Osbourne” i cui manifesti sono stati avvistati presso il Citi Wang Theatre di Boston, location utilizzata per la “Maratona Metal” di 12 ore annunciata dai cartelloni; ed è proprio nella capitale del Massachussetts che si stanno girando gran parte delle scene del film.

A suscitare maggior scalpore tra i fan non è la partecipazione del Padrino dell'Heavy Metal ma quella di Murray che, in prima battuta, aveva negato qualsiasi possibilità di far parte del progetto che vede come protagoniste Melissa McCarthy, Kristen Wiig, Kate McKinnon e Leslie Jones. Infatti, proprio l'attore aveva espresso i propri dubbi a riguardo di Ghostbusters 3, sottolineando le difficoltà di riuscire a ricreare una pellicola bella come l'originale.

Anche Bill Murray e Ozzy Osbourne potrebbero partecipare al reboot diretto da Paul Feig. I due, secondo quanto riportato da Variety, si aggiungerebbero a Dan Aykroyd già confermato lo scorso mese

La Berlinguer in crisi studia una via di fuga fino al Campidoglio

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Povera Bianca Berlinguer. Il suo destino alla guida del Tg3 è segnato da tempo: perdita di ascolti, redazione in rivolta, nessun feeling con Matteo Renzi, caduta libera dei numi tutelari dentro e fuori Rai. Game over , traguardo in vista. Lei lo sapeva bene al punto da permettersi lussi sconosciuti ad altri, come partecipare all'ultima puntata di Servizio pubblico su La7 per parlare del padre Enrico mentre Michele Santoro satireggiava sul premier in versione Dux.

Ma l'affronto più duro è la parallela ascensione della collega e rivale Monica Maggioni. Nel totonomine Rai delle scorse settimane la Berlinguer era ben piazzata come nuova consigliera di amministrazione in quota sinistra Pd, nella casella che invece è stata riempita da Rita Borioni, assistente parlamentare con qualche trascorso in RedTv, emittente del Pd dalemiano precipitata subito dopo il decollo. Nel Cda doveva entrare una direttrice di Tg: vi è approdata quella di RaiNews. La quale - a differenza di BB - si era ben guardata dal criticare l'ipotesi di riforma Rai targata Renzi che unifica le redazioni dei Tg.

Per Bianca Berlinguer sarebbe stata una buona via di fuga. Ma Renzi gliel'ha giurata. E c'è da giurarci che finiranno in nulla anche le voci che la darebbero in pista come sindaco della capitale se Ignazio Marino dovesse alzare bandiera – appunto - bianca. Tra la sbiadita ministra Marianna Madia e il vispo Giovanni Malagò, si dice che potrebbe spuntarla la figlia del più amato segretario del Pci. Un cognome ancora capace di emozionare, che evoca una «questione morale» sempre più aperta nella politica italiana (Pd compreso) e per questo è stato inserito nel pantheon dei grillini da Gian Roberto Casaleggio.

In tv Enrico vale quasi Bianca: lo scorso giugno il film di Walter Veltroni «Quando c'era Berlinguer» fece quasi 1,5 milioni di telespettatori su Rai3 con uno share del 6,2 per cento, non lontano dall'8 sul quale si è arenato il Tg3 delle 19. Ci sarebbe stato anche un contatto tra Matteo e Bianca per sondare la disponibilità. Le smentite sono fioccate. Ma più di tutto contano le frecciate che continuano ad arrivare dal Giglio magico. La più recente è del mese scorso quando Michele Anzaldi, segretario renziano della commissione di vigilanza, se l'è presa per l'entusiasmo con cui il Tg3 ha seguito il referendum greco fino a minacciare di convocare la Berlinguer «per chiedere spiegazioni su un episodio che dovrebbe essere valutato anche dall'Ordine dei giornalisti». Nientemeno.

La zarina della Rai viene da un mondo che è l'opposto della rottamazione renziana. Un carattere freddo, un cognome impegnativo, un padre nobile difficile da pensionare come un Bersani qualsiasi, una frequentazione assidua della sinistra radical-chic, un debito di riconoscenza personale e professionale con Sandro Curzi, il fondatore di TeleKabul, lontano anni luce dai modelli televisivi del presidente del Consiglio.

Ma la distanza di BB da Renzi non è soltanto una questione dinastica o temperamentale. A Rosso di sera , l'ultima puntata di Servizio pubblico trasmessa da Firenze che ha schierato le ultime groupie girotondine (Parietti, Guerritore, Ferilli, Fracci), Bianca ha magnificato i bei tempi in cui suo padre dialogava con Giorgio Almirante. Un'idea di politica agli antipodi dell'«uomo solo al comando» oggi praticata dal premier-segretario Pd.

La scelta è confermata dall'impostazione che la Berlinguer ha dato al suo telegiornale nei sei anni di direzione. Secondo le ultime rilevazioni Agcom sulla presenza dei politici in tv (giugno 2015), il Tg3 è la testata Rai che riserva a Renzi il minore «tempo antenna» (cioè il tempo in cui si parla di un politico sommato alle sue dichiarazioni in voce): appena il 18,8 per cento. Una percentuale quasi uguale a quella del Tg5 (18,4). TeleKabul come il primo telegiornale Mediaset: chi mai l'avrebbe detto?

Molto più spazio hanno concesso a Renzi il Tg1 di Mario Orfeo (21,9 per cento) e la RaiNews di Monica Maggioni con il record del 23,9. In sostanza, nel Tg guidato dalla nuova presidente della Rai si consegnava al premier un quarto del tempo destinato alla politica italiana. Anche nella ripartizione tra i partiti la Maggioni era più lealista della Berlinguer: su RaiNews il Pd sommava il 48,4 per cento contro il 41,4 del Tg3. Dove, per soprammercato, imperversavano gli esponenti della minoranza interna che Renzi non poteva sopportare.

Lo share del Tg delle 19, che nel 2010 si attestava sul 15 per cento con punte superiori al 16, ora tocca con maggiore frequenza l'8 che il 10. Indifferenza al potente di turno e bassi indici di ascolto: il terreno ideale su cui crescono le polemiche interne. BB non è mai stata tanto amata dalla sua redazione, dove ha creato una cerchia di fedelissimi che però non l'hanno messa al riparo da scivoloni come quello di trasmettere un servizio sul Papa in Bolivia già andato il giorno prima.

Una lettera di un suo redattore, pubblicata giorni fa dal Giornale , fotografa il fallimento della gestione Berlinguer: «Sei anni di questa direzione hanno prodotto la più grande fuga di colleghi nella storia del Tg3. Abbiamo perso ottime professionalità e, tra quelli che non hanno scelto la fuga, molti sono stati emarginati e umiliati». E ancora: «Alcuni miei amici, ottimi colleghi della carta stampata, ironizzano sul nostro vezzo di dare spesso le notizie del giorno prima, ma anche nei nostri corridoi si ride di questa bizzarra usanza. Forse il Cdr avrebbe dovuto già da tempo indire un referendum redazionale per cambiare nome al Tg3. Avremmo potuto chiamarlo Ripubblica.it , oppure È già ieri . Le notizie, spesso, le facciamo decantare, come il Brunello». BB è una presenzialista che si disinteressa del resto: «Mi chiedo: se una collega si preoccupa solo della conduzione, è proprio necessario che si faccia nominare anche direttore? Purtroppo anche questa domanda, molto diffusa in redazione, arriva a tempo scaduto».

Gli ascolti in calo, la redazione in rivolta, l'esclusione dalle nomine Rai. Ma un inciampo della giunta Marino potrebbe offrirle una chance: la candidatura a sindaco di Roma con l'ok di Renzi

Il cinema riscopre i gangster. E questa volta sono italiani

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Quanto a gangsters, ne avevamo di pericolosi. Rapinatori che inviavano ceste di rose alla cassiera svenuta, solisti del mitra che nascondevano l'arma nella custodia d'un violino, banditi gentiluomini che citavano Brecht: «Fondare banche è più immorale che rapinarle», impugnando pistole-giocattolo. Erano i tempi del romanticismo criminale, che infiammava le penne di Indro Montanelli ed Enzo Biagi, giornalisti scrittori che se giocavano a «banditi e carabinieri» pendevano dalla parte dei primi. Perché nell'Italia del dopoguerra perfino i più incalliti malfattori presentavano qualche tratto di nobiltà e d'intelligenza. Gente lontana anni luce dai delinquenti globalizzati, che tolgono la vita per un nulla e rubano postando selfie con la merce trafugata.

Così è furba l'idea del regista Renato De Maria, che alla Mostra di Venezia porterà (sezione Orizzonti) Italian gangsters , un film anomalo, a metà strada tra documentario e pièce teatrale, che racconta mezzo secolo di storie violente, già consacrate dalla cronaca e dal cinema, a conferma di un'innegabile valenza.

Tra filmati d'epoca - quelli storici del Luce e quelli familiari di Home Movies - e testimonianze di registi come Elio Petri e Marco Bellocchio, gli attori interpretano pezzi da forca sentimentali che si chiamano Ezio Barbieri, «il bandito dell'Isola» capo della banda dell'Aprilia nera, nei Quaranta distributrice del bottino tra i poveri di Milano; Paolo Casaroli, l'«inventore delle rapine in banca», classe 1926, nel 1951 intervistato dal giovane cronista Enzo Biagi - «Nessun rimpianto?», gli chiedeva Biagi in ospedale e lui: «Rimpiango gli amici. C'era fedeltà tra noi, fino all'ultimo. Neppure la politica ci divideva: Farris diceva d'essere fascista, Ranuzzi era comunista e io...anti» - e ancora Pietro Cavallero, capo della banda che nei Sessanta terrorizzava le banche del nord; Luciano De Maria, «il bandito gentiluomo» che nel '58 firmò la rapina di Via Osoppo, a Milano con una sola, grande regola: non uccidere; Horst Fantazzini, «il rapinatore gentile» che a 62 anni voleva rapinare una banca in bicicletta (è quello della citazione brechtiana) e infine Luciano Lutring, «il solista del mitra» autore di rapine miliardarie, graziato dai presidenti Georges Pompidou e Giovanni Leone. Sospese tra boom economico incipiente e miseria nera da dopoguerra, facce da galera sfilano nel film di De Maria, dando anima e corpo a personaggi che si presentano attraverso quanto viene detto su di loro.

«Sono nato a Milano il 30 dicembre del 1937, mi chiamo Luciano Lutring, soprannominato nella malavita e nel “milieu” “il solista del mitra”», dice nella scena iniziale l'attore bresciano Luca Micheletti, iniziando un viaggio nella mente di criminali eccentrici e intriganti. A Lutring, detto anche «il Dillinger italiano», Carlo Lizzani dedicò Svegliati e uccidi (con Gian Maria Volontè protagonista) nel 1966, l'anno in cui «il solista del crimine» fu considerato pericolo pubblico numero uno in Italia e in Francia. La sua non è soltanto una storia di mala meneghina, tra Cadillac e Smith&Wesson senza pallottole: in Francia Alain Delon ne interpretò il personaggio in un film tratto dall'autobiografia del criminale, poi pittore e scrittore. A Horst Fantazzini, nato a Saarland nel 1939 e simbolo d'una vita al confine tra piccoli reati e anarchia, Enzo Monteleone ha consacrato Ormai è fatta! , film del '99 con Stefano Accorsi nel ruolo dell'anarchico che sorrideva agli impiegati di banca, pregandoli di consegnare il malloppo. Sarà che il bene non fa rumore, ma Indro Montanelli, raccontando la celebre rapina di Via Osoppo del 27 febbraio 1958 - se ne andarono 614 milioni di lire -, così fotografava il sentimento della Milano di quegli anni: «Ufficialmente sì, tutti scrivono e proclamano che sono contenti, anzi entusiasti del fatto che i criminali siano stati smascherati in modo da togliere a chiunque la voglia di imitarli. Ma, sotto sotto, senza osare dirlo, o dicendolo solo a bassa voce, la maggioranza tifava per i rapinatori».

Dal "solista del mitra" all'"anarchico gentile": il film di De Maria racconta rapine ed evasioni a metà tra documentario e pièce teatrale

Luciano Lutring. Il bandito era conosciuto come il "solista del mitra"

Fabio Volo, nato il secondo figlio

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Johanna Hauksdottir e Fabio Volo sono diventati genitori per la seconda volta, ad annuciarlo è stato lo stesso conduttore tramite il suo profilo Twitter: È arrivato il secondo figlio. Che meraviglia. Pare che a Parte me siano tutti belli in casa. Grazie Johanna! La coppia è al secondo figliomaschio dopo Sebastian giunto nel 2013, ma questo è un nuovo arrivo che riempie di gioia la famiglia intera. La vita dello scrittore ha subito un cambio radicale con l'ingresso della compagna di origine islandese nel 2011, la 30enne istruttrice di pilates.

Fabio Volo ha messo da parte la sua fama di scapolo e single eterno per creare in modo automatico un nuovo scenario di vita. Prima un binomio di coppia, confermato nel 2011 con molta discrezione e senza rivelare nulla della nuova fidanzata. Ora un nucleo familiare più grande e decisamente felice, ma dopo l'arrivo del primogenito lo stesso conduttore aveva rivelato di sognare una figlia.

La nascita del nuovo piccolo di casa Volo è sicuramente fonte di grande gioia per la coppia e per il fratellino. Pare che in molti stiano solo aspettando la degna coronazione di questa unione, ovvero il matrimonio. Per il momento però la famiglia di gode questo momento importante, in piena serenità e tranquillità.

Fabio Volo annuncia via Twitter l'arrivo del suo secondo figlio avuto con la compagna Johanna Hauksdottir, istruttrice islandese di pilates

LaPresse

Kylie Jenner compie 18 anni, festeggiamenti in grande stile

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Kylie Jenner ha finalmente compito 18 anni, la piccola di casa Jenner- Kardashian ha condiviso via Instagram un inusuale conto alla rovescia verso la data del suo compleanno. I festeggiamenti si sono tenuti al The Nice Guy per poi proseguire al Bootsy Bellows a Los Angeles, mentre la giovanissima ha sfoggiato due abiti aderenti e strabilianti. In un primo momento un capo ricoperto da brillanti e corredato da trasparenze sapienti, quindi un look nero luccicante. A sottolineare il tutto manicure e accessori in tinta, ma principalmente una parrucca bionda che ha catalizzato l’attenzione sulla festeggiata.

Immancabile la presenza di tutto il clan che ha fatto a gara di abiti sexy e seducenti. Compresa la stessa Kim Kardashian in attesa del secondo figlio e in compagnia del marito Kanye West. A completare la serata la presenza dei genitori della festeggiata, Caitlyn Jenner tornata in ottimi rapporti con l’ex moglie Kris Jenner, presente al braccio del nuovo giovane fidanzato Corey Gamble.

Moltissimi i VIP presenti e i regali ricevuti, il più eclatante è stato il dono del rapper e fidanzato Tyga che le ha donato una Ferrari bianca da 320000 dollari. La giovane Kylie Jennerè apparsa visibilmente emozionata dal regalo del compagno 25enne, la foto dell’elegante auto è apparsa anche su Instagram accanto al Jet privato. Grande gioia e festeggiamenti per i primi 18 anni della piccola di casa, anche se il grande assente della serata è stato Rob Kardashian. Il fratellastro che da tempo rifugge dalle luci della ribalta e dai paparazzi che seguono passo dopo passo l’intera famiglia.

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Kylie Jenner compie i suoi primi 18 anni e festeggia circondata dalla famiglia intera, con la presenza del fidanzato Tyga e delle amiche di sempre. Molte le presenze VIP e tanti i doni di grande pregio

Instagram

Un anno senza Robin Williams

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Un anno di mancanza, un anno di assenza dolorosa quella trascorsa dalla morte dell’attore Robin Williams. Solo 365 giorni separano il pubblico e suoi fan dalla scelta dell’uomo 63enne di togliersi la vita tramite impiccagione. La scoperta del suo corpo rinvenuto privo di vita presso la sua casa aTiburon, nella baia di San Francisco, ha scosso la famiglia e l’opinione pubblica.

Non sono bastati 40 anni di successi e risate. Il talentuoso e poliedrico attore americano, in grado di far ridere e piangere la sua platea mondiale, un anno fa aveva deciso di porre fine alla sua esistenza. La stessa moglie Susan Schneider aveva confermato dello stato depressivo in cui scivolato da tempo Robin Williams, quindi della recente diagnosi del morbo di Parkinson.

A un anno dalla sua prematura dipartita tante le celebrazioni e le parole di commiato, molti i film che verranno riproposti a sottolineare la sua versatilità interpretativa. Nei cuori dei suoi ammiratori rimarrà immutato il trasformismo tipico della sua arte e della sua capacità recitativa, che gli permetteva di alternare ruoli comici e buffi a parti drammatiche e più intense. Presso la sua abitazione è attesa una processione di amici e fan, che celebreranno l’assenza con fiori, candele e bigliettini.

Sono trascorsi 365 giorni dall'improvvisa dipartita dell'attore Robin Wiliams, il comico 63enne che solo un anno fa aveva deciso di porre fine alla sua esistenza

Olycom

Aurora Ramazzotti condurrà X-Factor

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Doveva volare a Londra per l'università, con tanto dispiacere - e orgoglio - di mamma Michelle. Ma a quanto pare Aurora Ramazzotti sarà in Italia più spesso del previsto per seguire proprio le orme della madre.

Secondo il settimanale Chi, infatti, la 18enne figlia del cantante Eros e della showgirl Michelle Hunziker sarà la conduttrice della striscia quotidiana di "X Factor", in onda su Sky da settembre. Del resto che avesse l'X Factor lo ha dimostrato nell'ultimo anno: già prima di diventare maggiorenne, Aurora aveva conquistato le pagine dei giornali e soprattutto i social network - uno su tutti, Instagram dove conta 340mila followers - grazie alla sua spontaneità e al suo fisico che ricorda molto quello della madre. "Questa proposta è arrivata inattesa e mi ha riempita di entusiasmo", ha detto Aurora Ramazzotti, "Seguo da tanti anni X Factor e non avrei mai immaginato un giorno di far parte di una squadra davvero eccezionale. Quest’anno la giuria è una vera bomba! Non vedo l’ora di conoscere Elio, Fedez, Mika e Skin, ma soprattutto non vedo l’ora di conoscere loro, i concorrenti dell’edizione 2015. Seguirò con passione tutte le puntate di Selezioni per scoprire insieme al pubblico i talenti di quest’anno e prepararmi a conoscerli più da vicino da ottobre".

Alessandro Cattelan, che fino alla scorsa edizione ha guidato anche il day time, da quest’anno si dedicherà unicamente al prime time, che per l’edizione 2015 sarà composto di ben 14 appuntamenti: 6 dedicati alle Selezioni e 8 serate live di gara. Un passaggio di testimone che Alessandro ha commentato: "Faccio un grande in bocca al lupo ad Aurora, una ragazza brillante e sicura di sé che non mancherà di portare un punto di vista innovativo nel racconto dei ragazzi".

La figlia di Eros e Michelle sarà il volto della striscia quotidiana del programma di Sky

Kim Kardashian, nudo integrale e dolce attesa su Instagram

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La regina del reality Kim Kardashian torna a fare scalpore online. Sul suo profilo Instagram si è ripresa in nudo integrale e incinta, rispondendo, a margine della foto, alle critiche che quotidianamente le piovono sui suoi profili social: "Alcune volte sono fotografata prima di mangiare e sembro più piccola, altre volte dopo mangiato e sembro più grossa. È tutto parte del processo", scrive la moglie del rapper Kanye West. "Ogni corpo è differente, ogni gravidanza è differente. Ho imparato ad amare il mio corpo in ogni momento".

La bella Kim sfoggia un fisico da urlo su Instagram: "Ogni corpo è differente, ogni gravidanza è differente. Ho imparato ad amare il mio corpo in ogni momento"

Applaudita «La gazza ladra» di Michieletto

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da Pesaro

Il maestro Alberto Zedda ha avviato, con la curatela dell'edizione critica nel 1973, la doverosa rivalutazione de La gazza ladra (1817), capolavoro «semiserio», in cui Rossini compendia dramma e commedia, sul modello imprendibile del «giocoso» assoluto, il Don Giovanni di Mozart. Zedda nella duplice veste di direttore d'orchestra e di organizzatore musicale ha vivificato il lavoro filologico, dirigendo con eleganza e passione il capolavoro negletto e facendo inaugurare, trentasei anni or sono, il Rossini Opera Festival a Pesaro. La gazza ladra , è una monumentale tragedia con happy end incollato, che espone alla riflessione moderna il rapporto dell'uomo con l'ingiustizia: la pena di morte è comminata a una povera servetta, Ninetta, per il furto di una posata - soggetto tratto dal vero durante la feroce restaurazione post-napoleonica. Nel segno de La gazza ladra si è aperta la trentaseiesima edizione del ROF, ultima stagione in cui il maestro Zedda ricopre la responsabilità di direttore artistico.

In tutte le distribuzioni vocali, accanto ad elementi sicuri e ben affermati, nel caso di quest'edizione, per esempio il vigoroso Alex Esposito nella parte del padre di Ninetta, Fernando, ci sono elementi molto promettenti, provenienti dal tirocinio dell'Accademia rossiniana, come Marko Mimica, basso croato che ha sostenuto il ruolo imponente del viscido e lubrico magistrato Gottardocon appropriati tratti dongiovanneschi. E se la protagonista georgiana, Nino Machaidze, ha dizione oscura ma impegno espressivo, c'è molto altro di cui consolarsi: i personaggi di contorno, per esempio, sono tutti ben a fuoco: i genitori dell'amoroso Giannetto (lo squillante René Barbera), Simone Alberghini (Fabrizio) e Teresa Jervolino (Lucia), il tenero amico Pippo (Lena Belkina), il merciaiuolo Isacco (Matteo Macchioni), il carceriere Antonio (Alessandro Luciano). La regia di Damiano Michieletto, dopo otto anni, è rimasta felice nel seguire l'intreccio e nell'idea di affidare la gazza ladra a una mimo-artista (la bravissima Sandhya Nagaraja), novella Alice nel paese dei furti; assai meno soddisfacente per quanto riguarda la consueta insalata costumistica: podestà mefistofelico e sgherri all'Arancia meccanica, signore del coro in cappotti di pelle color melanzana, Giannetto candido ufficiale di marina, rivendugliolo trucido imbonitore. Reso omaggio al saggio e un poco stanco governo del direttore d'orchestra, Donato Renzetti, ogni onore al maestro Zedda e ai suoi sodali pesaresi.

Una vita da vero sex symbol sospesa tra orrore e successo

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Con la ribellione ci sapeva fare. Quando l'attore Roger Moore, provò a consegnare la statuetta dell'Oscar all'attrice indiana Sacheen Littlefeather, che Marlon Brando aveva inviato sul palco al posto suo, la nativa americana si ritrasse sotto il fuoco dei flash. «Mister Brando non può accettare questo riconoscimento, molto generoso, per come Hollywood tratta gli indiani d'America», scandì la squaw nel mormorìo assordante. Era il 1973 e l'indomabile che aveva elettrizzato pubblico e critica incarnando Vito Corleone ne Il Padrino ribadiva la propria potenza dentro e fuori l'inquadratura. La passione civile scorreva nel sangue di Marlon, morto a 80 anni nel 2004, divo controcorrente dalla parte dei perdenti alla Terry Malloy, il suo boxeur di Fronte del porto che di sé diceva: «Non posso essere un campione». E invece Brando è stato un lottatore per tutta la sua dannata vita piena di tormenti. Come ricorda Listen to Me Marlon di Stevan Riley, film appena uscito di montaggio dove la star si racconta attraverso le numerose interviste da lui registrate. A intrigare le giovani generazioni, che conoscono Brando per interposta t-shirt - ma lui ha reso iconica la maglietta sui jeans a zompafosso -, ecco il suo capoccione in ologramma, che fluttua sullo schermo: un ghiribizzo pop della Brando Enterprises, ansiosa di rinverdire il mito alla maniera 2.0.

Non c'è bisogno di simili espedienti quando vita e carriera del più grande attore americano contemporaneo, uno dei maschi più rappresentativi che ha ispirato Paul Newman e Bob De Niro, sembrano un film.

Nato il 3 aprile 1924 a Omaha, il piccolo Marlon conobbe le cinghiate di Marlon Brando Senior, padre alcolizzato da dimenticare e le disattenzioni della madre Dorothy Pennebaker, attrice fallita e pure lei sbevazzona, più interessata al bicchiere che alla famiglia. «Credo che la storia della mia vita sia la ricerca d'amore. Cercavo soprattutto di riparare i danni che mi avevano fatto», spiega Marlon. Nel 1935 i genitori si separano e lui, con le sorelle Florence e Jocelyn, segue la madre in California: due anni dopo, papà e mamma tornano insieme e ai ragazzi Brando tocca un trasloco nella periferia di Chicago, a Libertyville. Dove Marlon è uno studente svogliato, che Brando Senior spedirà all'Accademia Militare di Shattuck, nel Minnesota. Altro che forgiare il carattere: l'allievo è insubordinato, quindi cacciato. Niente di meglio che seguire le sorelle a New York, nel 1943, a tentare la carriera d'attore. Sono gli anni dell'Actors Studio e lui, col metodo Stanislavskji, si sente una tigre a scuola di giungla. Il suo debutto? Nel 1944 a Broadway, nel ruolo di Gesù in Hannele di Gerhart Hauptmann.

Nel 1946, l'incontro fortunato con Elia Kazan, che gli assegna la parte di Stanley Kowalski in Un tram chiamato desiderio : il look di Brando, t-shirt e jeans a pelle, viene dagli operai di strada. I muscoli torniti e la recitazione intensa lo segnalano, sia nella versione teatrale che in quella cinematografica. Sul tram c'era salito, anche se «l'unica ragione per cui sto a Hollywood è che non so rinunciare ai soldi», dice. Nel 1952, ancora Kazan lo dirige in Viva Zapata! , ode ai rivoluzionari dal soggetto di John Steinbeck e poi lo splendido Marc'Antonio di Giulio Cesare : nominato all'Oscar, senza vincerlo. Eppure scrittori come Tennesse Williams e Arthur Miller avevano bisogno di attori come Marlon, capaci di metterti un personaggio nel cuore. L'Academy smette di snobbarlo con Terry Malloy: agli Oscar, Bob Hope gli preconizza un gran futuro.

Ma ha inizio il valzer delle parti sbagliate: da Napoleone in Desirée («Troppo grande per i suoi bluejeans?», lo sfottono) al gangster canterino di Bulli e pupe . Se la critica Pauline Kael lo fa a pezzi: «Il monotono Brando è fatto per sembrare il mascalzone n.1», Truman Capote lo intervista sul set di Sayonara (1957), lanciandolo come primadonna. Nei Sessanta seguono disastri come Gli ammutinati del Bounty (1962), flop al box office, ma colpo di fulmine per Tahiti e per la coprotagonista Tarita Teriipia. Nel 1966 Brando compra l'isola di Tetiaroa: farà la spola tra il Pacifico e la sua proprietà di Mullholland Drive, una villa di 12 stanze a Beverly Hills. Con le prime mogli, Anna Kashfi e Movita Castaneda, era finita male. Con Tarita, forma una famiglia sventurata: nel 1990 il figlio Christian uccide Dag Drollet, che corteggiava sua sorella Cheyenne, poi suicida. «Ho cercato d'essere un buon padre», confessa in tribunale, mentre i tabloid lo sbattono in prima pagina. Più la vita agra avanza, più lui, ingrassato a dismisura, si ritira a vita privata. Non senza affrontare i ruoli struggenti di Ultimo tango a Parigi e di Apocalypse Now (1979): l'orrore del rinnegato Kurtz era il suo.

È uscito il film in cui la star si racconta attraverso le interviste Dal rifiuto dell'Oscar ai flop, storia di un eroe sempre «contro»

Talent show, calcio e news Così Mtv sarà ancora più generalista

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Ma mica sparisce: Mtv cambia soltanto pelle. Dopotutto è il brand globale che in 35 anni ha saputo adattarsi meglio all'evoluzione del costume. Primo agosto 1981: trasmette Video killed the radio star , debutto ufficiale del canale americano. Primo agosto 2015: Viacom cede a Sky sostanzialmente il pulsante numero 8 del telecomando generalista, quello occupato da Mtv. Mtv passa a Sky. La Mtv generation affronta un altro cambiamento dopo l'apertura ai talk show e la cancellazione, qualche anno fa, dello slogan Music Television sotto il logo. Un'operazione dai riflessi enormi che, in buona sostanza, consegna alla diffusione generalista terrestre ancora una supremazia (ma per quanto?) che fino a due anni fa sembra destinata ad affondare. Per capirci, una grande quantità di pubblico televisivo, quella anagraficamente più alta ma non solo quella, non ha ancora accettato di andare oltre il pulsante 9. Semplicemente non ne sente il bisogno. Ci vuole tempo. E Sky ha provato ad anticiparlo, seguendo l'esempio di Discovery che qualche tempo fa rilevato Deejay Tv sul canale 9.

È il «turmoil» televisivo, lo scompiglio che da almeno cinque anni fraziona un mercato pressoché inalterato per decenni. E Mtv, che ben prima di Spotify ha abituato il pubblico a una fruizione generalista della musica (fatti salvi gli estremi tipo punk, metal o folk), consegna il proprio brand a un'altra evoluzione. Per ora, si capisce, sono soltanto indiscrezioni, visto che il palinsesto autunnale sarà presentato soltanto a settembre.

Però sembra piuttosto probabile che sulla Mtv «terrestre» la percentuale di musica si ridurrà, rimarranno produzioni accolte con sospetto dai telespettatori della prima ora ma decisamente significative come Sedici anni e incinta oppure Catfish , Ginnaste - Vite parallele , Il Testimone di Pif e continua ovviamente il megaevento Mtv Europe Music Awards che tra l'altro quest'anno sarà proprio a Milano.

Insomma il brand Mtv rimane di Viacom.

Ma dai palinsesti Sky arriveranno altri contenuti che sono oltretutto assai caratterizzanti. Come Sky Tg24, del quale su Mtv andranno in onda alcune edizioni. O l'Europa League, della quale Sky possiede i diritti oltre a quelli di serie A e B. Per assurdo, e naturalmente non è ancora certo, Mtv potrebbe trasmettere il derby Milan Inter o la sfida scudetto qualche ora dopo la diretta su Sky. E poi i talent show come X Factor o Masterchef . Una svolta niente male, vero? Nel dettaglio, è una mossa strategica con grandi effetti sul medio termine più che nell'immediato. Ma è anche simbolica. E per nulla trascurabile. La forza di Mtv, che per decenni ha fatto il bello e il cattivo tempo nella musica pop, consacrando centinaia di star e trascurandone altre, è sempre stata quella di adattarsi al proprio pubblico, crescendoci insieme.

Lo ha fatto anche stavolta.

E poi ci sarà Mtv Next, visibile sul 133 di Sky, che manderà in esclusiva i Video Music Awards da un miliardo di spettatori e che a settembre godrà di una sorta di reloading interattivo e che farà parte dell'aerea entertainment di Sky. Invece chi vuole musica in video h24, potrà andare su Mtv Music sul canale 67 del dtt oppure sui canali musicali Mtv di Sky, ossia Mtv Dance, Mtv Rocks e Mtv Music. Insomma, lo sbarco parziale del palinsesto Sky su Mtv è una mossa che sullo scacchiere scatena un lungo, complicato e, per noi umani, imprevedibile effetto domino perché, nel suo complesso, la televisione sta imparando a suonare un'altra musica per entrare nel futuro e rimanerci.

Dopo l'acquisizione di Sky, probabile che lo storico canale musicale trasmetta anche X Factor e Masterchef. Oltre che SkyTg24 e le partite

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