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Fedez, sfogo su Instagram: "Non si giudica un genitore da foto postata sui social"

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Il rapper Fedez si sfoga sul suo profilo ufficiale Facebook e risponde a tutti gli utenti che criticano il genitore che pubblica scatti del proprio figlio online

"I criteri per valutare la capacità di fare i genitori non dovrebbero basarsi sulle foto social": parla Fedez. Il padre del piccolo Leone, nato dalla relazione con ChiaraFerragni si sfoga sui social network dopo la pioggia di critiche arrivate nei suoi confronti.

Rabbia social per Fedez

Dopo i primi commenti e "mi piace" per la nascita di Leone Lucia Ferragni, per Fedez e compagna arrivano le prime critiche. I La coppia, che vanta insieme la bellezza di oltre 17 milioni di follower, è stata attaccata sul web per le troppe foto postate del piccolo. E su questa scelta sono anche stati accusati di essere di non essere dei bravi genitori.

Giudizio che ha mandato su tutte le furie il rapper milanese: "Stiamo condividendo il momento più bello della nostra vita, come farebbe qualsiasi famiglia figlia della nostra generazione". Fedez proprio non ci sta e ammette: "Un bambino non può decidere di essere sui social, come non può decidere se essere battezzato e abbracciare una religione". (Clicca qui per vedere lo sfogo del cantante)


Stranger Things: i creatori denunciati per plagio

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I creatori di Stranger Things sono stati accusati di plagio: un regista afferma di aver parlato con i fratelli Duffer del suo corto, Montauk, una produzione molto simile all'acclamata serie tv

Problemi giudiziari per i creatori della serie tv "Stranger Things", i fratelli Duffer. Secondo quanto riporta People, un regista di nome Charlie Kessler li ha denunciati lo scorso lunedì, per "appropriazione indebita, uso non autorizzato e sfruttamento". In altre parole, Kessler afferma che l'idea alla base della serie Netflix sia stata oggetto di un presunto plagio da Matt e Ross Duffer, a partire da un suo cortometraggio del 2012.

Kessler ha infatti realizzato in quell'anno "Montauk", un corto che parla di quel luogo mitico negli Hamptons al centro di alcune leggende metropolitane e teorie del complotto, oltre che a una presunta serie di esperimenti militari. L'uomo afferma di averne parlato ai Duffer nell'aprile 2014, a una festa durante il Tribeca Film Festival: l'idea, la sceneggiatura e il film sarebbero quindi stati portati a conoscenza dei due registi e sceneggiatori.

Quello che colpisce in questa storia è come il titolo provvisorio per Stranger Things fosse proprio "Montauk". Tuttavia si decise di spostare le riprese dallo stato di New York, dove si trova la suddetta località, in Indiana. Ma tutto questo, in fondo, è di dominio pubblico.

I documenti dell'accusa depositati in tribunale spiegano il successo dietro alla serie televisiva giunta alla sua seconda stagione, il cui cast principale è formato da Millie Bobby Brown, Caleb McLaughlin, Finn Wolfhard, Noah Schnapp e Gaten Matarazzo. Si fa riferimento a milioni di dollari e di come i Duffer abbiano guadagnato producendo un telefilm basato sul precedente lavoro di Kessler, senza nominarlo né ricompensarlo economicamente. E Kessler chiede a questo punto i danni materiali. Al momento, Netflix non ha rilasciato commenti relativi a queste accuse, che starà a un tribunale provare.

Liz Hurley bollente in costume

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Fonte foto: 
Getty, Instagram
Liz Hurley bollente in costume 1
Sezione: 

Liz Hurley mostra un fisico da urlo in bikini animalier: ecco lo scatto che ha mandato in delirio i follower su Instagram in questi giorni

Liz Hurley sempre più fascinosa nei suoi scorci quotidiani su Instagram. L'attrice posa con addosso un minuscolo bikini animalier, scatenando i follower in complimenti per il suo fisico mozzafiato. Attualmente Hurley ha anche un suo marchio di costumi da bagno.

Pablo Trincia conduce Hello Goodbye

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Venerdì 6 aprile, su Real Time, andrà in onda la nuova stagione di Hello Goodbye con Pablo Trincia: "Questo programma mi ha fatto emozionare"



Pablo Trincia presenta Hello Goodbye: "Mi ha emozionato tanto. Un programma dove viaggi senza viaggiare"

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Da venerdì 6 aprile su Real Time andrà in onda Hello Goodbye con Pablo Trincia: "Questo programma mi ha insegnato che si possono raccontare storie stando fermi"

Da venerdì 6 aprile alle 22.40, per cinque puntate, Pablo Trincia condurrà su Real Time Hello Goodbye.

Hello Goodbye è un format della Warner prodotto dalla Due-B di Luna Berlusconi per Discovery Italia. Il programma nasce e si sviluppa all'interno dell'aeroporto di Milano Malpensa, il non-luogo per eccellenza. Qui, Pablo Trincia raccoglie le emozioni, le gioie, le paure, le speranze di chi aspetta, arriva o è in partenza. Ma cosa è stato questo programma dai contorni tutti nuovi per Trincia?

"Io - spiega Pablo Trincia durante la conferenza stampa - ero abituato ad aggredire la notizia, quando poi Luna mi ha mostrato il girato dell'edizione precedente mi ha aperto un mondo perché ho scoperto che le storie si possono raccontare anche stando fermi, era un qualcosa che prima vedevo come inconcepibile. Così come credevo inconcepibile tirare fuori emozioni alle persone in un luogo che è l'ultimo luogo dove vorresti intervistare una persona, cioè l'aeroporto. Le premesse dell'aeroporto, quindi, sono l'inferno. Riguardando il montato, però, mi sono emozionato e mi sono reso conto che è stato possibile raccontare storie in aeroporto. Allora è possibile raccontare storie stando fermi. Questo è Hello Goodbye".

Ma che cosa ha dato, insegnato Hello Goodbye a Pablo Trincia? "Mi ha insegnato che si possono raccontare storie anche stando fermi, quindi, non per forza di cose dovendo prendere un aereo e andare dall'altra parte del mondo per inseguire qualcosa o qualcuno. Ma che si può raccontare e trasmettere un'intensità di racconto anche stando nel luogo più difficile in cui si possano raccontare le storie. Mi ha insegnato che l'intensità del racconto e la capacità di creare empatia funzionano a prescindere dal contesto, dal luogo, dalla storia che stai raccontando..".

Hello Goodbye ti ha emozionato?

Mi ha emozionato tantissimo, è un programma a cui mi sono affezionato tanto. L'aeroporto è un luogo che io adoro, l'ho sempre sognato da quando ero bambino. È un programma in cui viaggi senza viaggiare, da questo punto di vista è veramente perfetto".

(Guarda il video)

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Torna "Cartoons on the bay", il festival dell'animazione

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Per il secondo anno consecutivo sarà Torino ad ospitare 'Cartoons on the Bay', il festival internazionale dell'animazione cross-mediale e della tv dei ragazzi promosso da Rai e organizzato da Rai Com

È un appuntamento importante. Non solo per i ragazzi, ma soprattutto per tutta l’industria dell’audiovisivo che gira attorno alla produzione di cartoni e film animati. È “Cartoons on the bay“ che, nonostante il titolo, non si tiene in riva al mare ma a Torino. La ventiduesima edizione viene ospitata infatti per la seconda volta nel capoluogo piemontese, dal 12 al 14 aprile.

Oltre alla premiazione per i migliori prodotti animati, questa volta la kermesse propone alcune iniziative sugli agli 80 anni delle terribili leggi razziali contro gli ebrei. Una mostra nelle ex Carceri Nuove esporrà i lavori realizzati ad hoc da oltre 160 artisti del settore. Ma andrà in scena anche un musical di una compagnia di giovani israeliani e il primo cartone animato europeo sulla Shoa, prodotto da Rai Com: “La stella di Adra e Tati“, al Cinema Ambrosio il 13 aprile. Presentando la manifestazione ieri a Torino con il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, il direttore generale della Rai, Mario Orfeo, ha sottolineato l’importanza di “far conoscere ai bambini le pagine più buie della nostra storia“. “È giusto - ha spiegato - che il servizio pubblico svolga una funzione educativa attraverso l’elemento storico e civile“. Orfeo ha inoltre annunciato una nuova app di Rai YoYo che permetterà di seguire sui mezzi digitali il nuovo canale di Rai Radio Play dedicato ai bambini più piccoli.

Il festival propone un ampio programma di anteprime e proiezioni gratuite, mostre e incontri. Partirà con Bruno Bozzetto una “Hall of Fame“ dell’animazione, mentre il Pulcinella Career Award andrà a Gary Goldman, che insieme a Don Bluth (insignito dello stesso premio nel 2009) ha firmato opere come Brisby, Il Segreto di Nymh e Anastasia. La competizione internazionale comprende quasi 500 produzioni e l’evento di apertura l’11 aprile proporrà l’anteprima di Rampage, film di Brad Peyton tratto dall’omonimo videogioco degli anni Ottanta. Il festival è organizzato da Rai Com in collaborazione con Regione Piemonte, Film Commission Torino Piemonte e Fip, Film investimenti Piemonte.

Giovanni: "Io, Aldo e Giacomo non abbiamo divorziato. Nel 2020 torniamo in pista"

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Intervistato dal settimanale Oggi, Giovanni Storti ha rivelato per la prima volta che con gli altri due comici non c'è alcun tipo di maretta

Dopo mesi di rumors e indiscrezioni, Giovanni Storti, componente del celebre trio con Aldo e Giacomo, nega che la temporanea inattività del trio comico sia in realtà un divorzio.

"Ma no, è proprio così: due anni sabbatici e poi si ritorna in pista", dice al settimanale Oggi Giovanni. Il comico, quindi, incalzato dalle domande, conferma che il nuovo film "dovrebbe uscire per febbraio 2020, ma non abbiamo scritto ancora, non c’è una sceneggiatura neppure abbozzata".

E sempre al settimanale Oggi, Giovanni, reduce da una maratona nei campi dei rifugiati Saharawi, nel deserto algerino al confine con la Mauritania e il Sahara Occidentale, parla anche della sua passione per la corsa: "Mi sono innamorato dei trail, delle corse in montagna, nella natura. La resilienza è un concetto importante: la corsa è una cosa inutile - nel senso che è un gesto non necessario - ma ti allena lo spirito, così diventa utile. È anche una forma di meditazione, ti arricchisce, ti fortifica il fisico e lo spirito. Mi è stata utile per accettare meglio ogni imprevisto e avere più tenacia".

Simona Ventura: "Calunnie e cattiverie contro di me. Ma ora riparto a testa bassa"

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Intervistata dal settimanale Oggi, Simona Ventura ha parlato del suo nuovo ruolo di giudice ad Amici, degli amori passati e presenti e della sua carriera

"C’è chi mi ha messo i bastoni fra le ruote persino professionalmente, seminando calunnie e cattiverie col solo scopo di non farmi lavorare, non è stato affatto semplice capirlo e riemergere in qualche modo, ma ora sono qui, pronta a ripartire a testa bassa", inizia così la lunga intervista di Simona Ventura per il settimanale Oggi,

Alla vigilia della sua esperienza in giuria al serale di Amici, la Ventura dice di non aver rimpianti per la scelta di lasciare la Rai per Sky nel 2011: "Ero arrivata a un punto dove la decisione era anche e soprattutto personale. Familiare. I miei figli entravano nell’adolescenza e andavano seguiti più che mai in quella fase, iniziavo una relazione che sentivo finalmente essere quella giusta… dovevo restituire la centralità alla mia famiglia e l’ho fatto e lo rifarei ancora altre 100 volte. Quella di Sky è stata comunque un’esperienza appagante, in cui sono stata un’apripista all’intrattenimento in modo seriale".

Simona Ventura, poi, nega di voler tornare a condurre "l'sola dei famosi, almeno in Mediaset, la gente deve rassegnarsi". E tra una domanda e l'altr, parla anche dei personaggi da lei lanciati: "Una lunga lista. Ho spesso, intuitivamente, dato delle chance e salvato alcuni di quelli che reputavo amici, dalla disperazione professionale. Molti sono stati riconoscenti, come Belen Rodriguez. Altri dei veri e propri infami".

A Oggi la Ventura fa anche alcune considerazioni sugli amori passati e presenti. Su Stefano Bettarini:"Era un periodo lavorativamente topico per entrambi. Non sono riuscita a seguirlo nelle sue esperienze calcistiche. E ovviamente nemmeno lui riusciva ad aiutarmi. Al primo vero scossone il nostro matrimonio è crollato". Mentre Gerò Carraro è "un amore grande, eccezionale, che è arrivato come un dono dal cielo: Gerò e io abbiamo trovato il nostro equilibrio… Chiaro che conviviamo da sette anni, abbiamo le nostre discussioni come tutti. Poi facciamo pace. Io ci sono sempre, in ogni istante, per lui, e lui per me, e questo azzera tutte le malelingue".


L’alter ego di Tom Hanks e Bruce Willis porta le voci del cinema sul palcoscenico

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Angelo Maggi in uno dei momenti de il «DoppiAttore»

Per il terzo anno consecutivo Angelo Maggi porta al teatro Belli di Roma il suo "DoppiAttore", insieme ai giganti del doppiaggio italiano. Uno spettacolo ricco di sorprese e colpi di scena che rende omaggio a un’arte. E al talento di un mattatore del leggio

Angelo Maggi è uno, nessuno e centomila. Figlio di Pirandello, allievo di Gassman, erede di Rinaldi, Locchi, Amendola, le voci che hanno fatto grande il cinema. «Se avessi la sua voce sarei molto più glam...» ha sospirato, ma con un sorriso, Tom Hanks, in Italia per presentare il suo «The Post». Uno dei tanti divi a parlare con le parole, i toni, il timbro di Maggi. Lui è il Bruce Willis del «Sesto Senso», il Robert Downwy jr di «Iron Man», lo Hugh Grant di «Notting Hill», il Mark Hammon che vi entra in casa tutte le sere con «Ncis – Unità anticrimine» o il commissario Winchester dei Simpson. Non gli basta però essere uno dei migliori, l’anno scorso è stato premiato al Festival del Cinema di Venezia con il Leggio d’Oro, il più antico Oscar del doppiaggio, vuole anche essere il primo, cambiare il mondo, lasciare il segno. Questione di passione, ma anche di carattere: è un doppiatore protagonista, dentro e fuori gli studi di registrazione. Nessuno per esempio aveva pensato, prima di lui, di sposare il doppiaggio al teatro, di portare le voci, nascoste, misteriose, bellissime, sul palcoscenico. Quest’anno lo farà per la terza stagione consecutiva con la sua creatura preferita, il «DoppiAttore, la voce oltre il buio» che dal 5 al 22 aprile darà spettacolo di sé al Teatro Belli di Roma, scortato come sempre dalla bellissima Vanina Marini e l’amichevole partecipazione di Luca Ward, Massimo Lopez, Marina tagliaferri e Pino Insegno.

[[youtube HsBF1piq9EE]]

Chiamarlo spettacolo è poco: è una compilation di invenzioni sceniche, di idee sorprendenti, di duetti irresistibili. Amore allo stato puro per un’eccellenza italiana. Una lectio magistralis, spiega il promo, ma anche gioco con gli spettatori, la fantasia che si fa realtà.Insieme a lui, come tutti gli anni, molti grandi del doppiaggio, uno diverso per ogni serata, con un calendario preciso: Massimo Lopez (5 aprile), Francesco Venditti (6), Emiliano Coltorti (7), Angiola Baggi (8), Giulia Luzi (10), Federico e Alessandro Campaiola (11), Selvaggia Quattrini (12), Pino Insegno (13), Roberto Stocchi (14), Fabio Celenza (14), Luca Dal Fabbro (15), Alex Polidori e Manuel Meli (17), Ernesto Brancucci (18), Giorgio Lopez (19), Edoardo Siravo (20), Simone Mori (21) e, dulcis in fundo, il 22, la regina delle Voci Maria Pia Di Meo, oltre alla voci protagoniste di Harry Potter, Star Wars e The Bold and the Beautiful, che occuperanno il palco nelle tre domeniche di programmazione. Ci saranno Domitilla D’Amico, Christian Iansante, Ilaria Stagni, Francesco Prando, Riccardo Rossi, Marco Vivio. Stiammo parlando di un parterre de roi.Maggi è come un pentagramma ha mille note e mille ne tocca nel sentimento del suo pubblico. Compresa una, imprevedibile, non sempre suonata, alta, come si dovrebbe: la gratitudine. Per quello che fa, oltre a metterci il talento e il cuore, per il doppiaggio, cioè per l’arte attraverso la quale gli italiani, non c’era ancora la guerra, hanno imparato a parlare la lingua di Dante e di Leonardo. Non esiste una magia come quella della parola, diceva l’Anatole France. Il «DoppiAttore», con le sue voci, riesce a volare persino oltre..

Ecco Motta, rinasce la canzone d'autore

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Escono i brani di "Vivere o morire": "I testi sono la parte più importante"

Motta è un giovane artista che fa dischi alla vecchia maniera: soffrendo, macerandosi e poi avendone il pudore. «Ti è piaciuto?» chiede subito prima di parlare di Vivere o morire, l'album che lo sta consacrando al grande pubblico dopo che la nicchia di amanti dell'indie pop o dell'indie rock o, più semplicemente, della bella musica lo ha già incoronato premiandolo con la Targa Tenco per la miglior opera prima (La fine dei vent'anni).

«Il testo per me è la cosa principale di una canzone», spiega con gli occhi quasi sempre rivolti verso terra. Ha 31 anni, è fidanzato con l'attrice Carolina Crescentini e ha alle spalle la gavetta con i Criminal Jokers, partiti con suoni punk e poi raffinatisi con una new wave a tratti figlia dei suoni italiani di Diaframma o Litfiba o Polyart negli anni Ottanta. «Quando scrivo e registro, non ascolto altra musica. Sono praticamente isolato per provare a decifrare i ganci emotivi che mi portano a scrivere canzoni. E ora, riascoltando Vivere o morire dall'inizio alla fine, mi accorgo che parlo d'amore, non solo di amore finito o di condizioni per trovare un amore che inizia, ma anche dei sentimenti che si provano per i genitori. Ad esempio, stavolta in Mi parli di te canto addirittura la parola babbo, e per me è stato più difficile che pronunciare padre». Insomma Francesco Motta è un cantautore che per forza, quasi di forza, si staglia nel panorama musicale italiano e non è un caso che ora sia «griffato» dalla Sugar, l'etichetta di Caterina Caselli e Filippo Sugar che ha sempre particolare sensibilità nell'esaltare le voci fuori dal coro. E non è neppure un caso che Motta (trasmesso dai network con La nostra ultima canzone) parli spesso di «responsabilità» e indugi più di quasi tutti i suoi colleghi nello spiegare il difficile, controverso, spesso doloroso rapporto con la scrittura e la composizione di brani (che scrive in parte con Pacifico). «Il trucco di questo disco è di non aver trucchi», dice prima di spiegare, con una lucidità che 20 anni fa sarebbe stata scandalosa nell'ambiente musicale, che «per fortuna si parla sempre meno di indie rock: ci sono canzoni pop che sono belle e cantanti pop che sono davvero indipendenti».

In poche parole, questo pisano cresciuto a Livorno è uno sul quale puntare per disegnare il paesaggio della musica d'autore che verrà. Bravo, insomma, e unico.

"Servono i Chamberlain oltre ai Churchill per battere i tiranni"

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In «Monaco» lo scrittore racconta la Conferenza del '38: "Quell'anno in più di pace ci salvò"

La penna di Robert Harris incontra di nuovo Adolf Hitler. Questa volta però lo scrittore di Nottingham non immagina un passato distopico preludio di un futuro soggiogato dal nazismo come in Fatherland. In Monaco (già in libreria edito da Mondadori) Harris ricostruisce, con piglio quasi documentaristico, i quattro frenetici giorni del settembre del '38 durante i quali si svolse la Conferenza che vide protagonisti il primo ministro inglese Neville Chamberlain, il Führer, Benito Mussolini e il premier francese Édouard Daladier. Lo sguardo che accompagna il lettore non è quello dei grandi protagonisti. Harris racconta la Storia con gli occhi di due persone ordinarie che si scontrano con eventi straordinari: il tedesco Paul von Hartmann e l'inglese Hugh Legat. Due vecchi amici che si ritrovano su fronti opposti con una guerra che incombe. Sono i loro personaggi che offrono ad Harris l'opportunità di inserire nella cronaca della Conferenza gli elementi narrativi che permettono allo scrittore di sconfinare dalla cronaca al romanzo condito da una spy story che però resta sullo sfondo.

Harris, perché ancora Hitler e la Conferenza di Monaco?

«Ritengo che quasi tutto quello che è stato detto e scritto sulla Conferenza di Monaco sia errato. Non fu una vittoria per Hitler e non fu una sconfitta per Chamberlain. Mi sono documentato come faccio sempre ed ho avuto informazioni di prima mano a esempio da Lord Douglas-Home, unico testimone di quell'incontro, oltre l'interprete. Circa 30 anni fa avevo realizzato un documentario su quella vicenda e ora ho ritenuto fosse tempo di riportare quella storia alla luce».

La narrazione condivisa non è generosa con Chamberlain dipinto come pavido e irresoluto nel confronto perdente con una coraggioso Winston Churchill.

«Chamberlain non era un debole ma un politico molto abile. Troppo sicuro di sé certamente ma il risultato ottenuto a Monaco ha dato all'Inghilterra il tempo di prepararsi alla guerra, potenziando la flotta aerea. Senza Chamberlain non ci sarebbe stato Churchill. C'è bisogno di entrambi. In qualsiasi fase storica occorre un Churchill ma anche un Chamberlain. Un politico repubblicano, Mike Huckabee, di recente ha paragonato Donald Trump a Churchill e Obama a Chamberlain. Ovviamente per lui il secondo paragone era un insulto ma io penso invece sia un complimento. Chamberlain ha dato un anno di pace in più all'Europa. Un anno prezioso».

Che cosa sarebbe accaduto se la guerra fosse scoppiata allora, nel '38?

«Avevo avuto la tentazione di scrivere un romanzo sulla base di questa ipotesi, ripetendo l'esperienza di Fatherland. Ma sarebbe stato necessario fare troppe congetture. È facile immaginare che cosa sarebbe successo perché il piano di attacco di Hitler era già pronto. Il Führer ha più volte ribadito, nel '42 e poi nel '45, che il momento giusto per iniziare il conflitto sarebbe stato proprio il settembre del '38. Ritengo che le cose sarebbero andate molto peggio»

Perché?

«Il piano di Hitler era pronto. Avrebbe invaso e distrutto la Cecoslovacchia in una settimana. Poi avrebbe attaccato la Francia. L'Inghilterra non avrebbe avuto il tempo di armarsi e probabilmente la Polonia sarebbe stata al fianco di Hitler. La mossa più preziosa di Chamberlain fu quella di far firmare un accordo per una pace duratura a Hitler su quel famoso pezzo di carta che sventolò davanti alla folla al suo ritorno da Monaco».

Un accordo che Hitler non rispettò.

«Esatto. E in questo modo Chamberlain mostrò a tutto il mondo che di quell'uomo non ci si poteva fidare. Se la guerra fosse scoppiata nel '38 non avremmo avuto l'appoggio degli Usa, del Canada, dell'Australia».

Allora qual è la lezione di Monaco?

«Occorre sempre fare tutto quello che è in nostro potere per evitare la guerra ma mantenendo la consapevolezza che si può arrivare a un punto in cui il conflitto diventa inevitabile. I personaggi di Monaco ne sono consapevoli, avvertono che il loro destino è ineluttabile. Se Chamberlain ha commesso un errore è stato quello di ritenere che per qualunque persona razionale sia sempre meglio evitare la guerra senza tener conto, però, del fatto che Hitler non era un uomo razionale».

Come si è avvicinato alla figura del Führer?

«Trovare la strada per descrivere Hitler è stato davvero difficile. Io visito sempre i luoghi che poi devo descrivere nei miei romanzi. Sono stato nello studio di Chamberlain al numero 10 di Downing street. Ovviamente quando non era presente Theresa May. Sono riuscito, grazie al mio passato di giornalista, anche a visitare l'appartamento privato di Hitler a Monaco. Ho visto lo stesso paesaggio che vedevano gli occhi del Führer. A Monaco davanti al Führerbau in Königsplatz la presenza di Hitler si fa tangibile più che a Berlino. Davvero qui senti pulsare il cuore oscuro del nazismo. Sono stato lì in settembre con lo stesso caldo mentre era in corso l'Oktoberfest: i canti, i balli, gli odori. Sono piccoli dettagli però utilissimi. Io sono d'accordo con Henry James quando dice che uno scrittore deve mostrare non raccontare».

Monaco racconta un'era di tiranni. Chi sono i dittatori di oggi?

«L'occupazione della Crimea da parte della Russia mi ricorda l'attività della Germania negli anni '30. Ma si può pensare di seriamente di scatenare una guerra mondiale per questo? Alle provocazioni della Russia occorre rispondere bilanciando ritorsione e dialogo. Ritengo anche quanto accaduto a Salisbury, a due passi da casa mia, sia una gravissima provocazione».

È preoccupato per la Brexit?

«Sono dispiaciuto: sono tra i 16 milioni di inglesi che hanno votato per restare in Europa. Purtroppo i favorevoli all'uscita erano 17 milioni».

Il mio amico Arrigo Petacco, un don Chisciotte contro l'ipocrisia

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Un giorno chiesi ad Arrigo Petacco, con cui ho avuto il grande onore di scrivere nel 2010 il libro La Resistenza tricolore. La storia ignorata dei partigiani con le stellette (Mondadori, 2010), chi fosse il giornalista che apprezzava di più. Lui non ebbe dubbi e mi disse: Montanelli. Non poteva essere diversamente perché se Indro era il vero giornalista controcorrente, Arrigo scomparso l'altro giorno a 89 anni - era, per definizione, lo scrittore controcorrente. Infatti, nei tantissimi libri che, almeno una volta all'anno, mandava alle stampe, appariva, da un lato, fuori dal coro su certi temi, molto discussi, della nostra storia, ma, dall'altro, si soffermava volentieri anche su personaggi che, nella loro vita, si erano distinti per i loro aspetti imprevedibili. Tra quest'ultimi, ha avuto una particolare predilezione a tratteggiare certi romagnoli «e' matt», tipi un po' matti: non parlo tanto di Mussolini, che Arrigo ha raccontato in tutte le salse, quanto, piuttosto, di personaggi considerati a torto di secondo piano come Ettore Muti, il fascista anomalo trovato morto nell'agosto del '43, e Nicola Bombacci, «il comunista in camicia nera», emissario di Lenin e fondatore del Partito comunista d'Italia a Livorno, che finì poi i suoi giorni a Dongo assieme al Duce.

Forse anche per le sue «simpatie artusiane» (apprezzava molto la cucina romagnola), Petacco ha pure firmato due libri con giornalisti nati da quelle parti: Sergio Zavoli (Dal Gran Consiglio al Gran Sasso, Rizzoli 1973) e, appunto, il sottoscritto. Con il nostro volumetto, Arrigo ha cercato di superare la cosiddetta storiografia ufficiale - che per troppi anni, ha parlato solo di partigiani «rossi» - raccontando le vicende ignorate dei tanti militari che, dopo l'8 settembre del '43, pagarono spesso con il sangue (87mila morti) la decisione di non cedere le armi ai tedeschi. Non è un caso che anche l'altro «controcorrente doc», Montanelli, si fosse fatto paladino di questa battaglia: pochi mesi primi della sua morte, nel marzo 2001, aveva denunciato il fatto che i partigiani con le stellette non fossero entrati, per decenni, nel Sacrario della Resistenza perché, agli occhi degli storici ortodossi, avrebbero finito per oscurarne «il Dna e il blasone». Anche Petacco si sentiva, a volte, come un specie di Don Chisciotte che, lancia in resta, cavalcava contro i mulini a vento dell'ignoranza e dell'ipocrisia. Ma, nel caso dei resistenti in grigioverde, non è stato proprio così: Arrigo ha vinto la sua battaglia. Come tante altre.

"Che storie meravigliose si possono rubare tra la gente in aeroporto"

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Il reporter intervista le persone nei terminal per "Hello Goodbye" da domani su Real Time

Giovani che partono per cercare fortuna, amanti che si incontrano tra gioia e lacrime, una madre che arriva dal Centro America per aiutare il figlio a combattere la sua battaglia più difficile. Che cos'hanno in comune queste storie? Le vedremo a Hello Goodbye su Real Time da domani, format Warner, prodotto da DueB di Luna Berlusconi per Discovery Italia.

Al timone c'è Pablo Trincia, giornalista, reporter per eccellenza, due volte Premio Ilaria Alpi (nel 2010 con «Infiltrato tra i profughi afghani» e nel 2013 con «Krokodil, la droga che ti mangia»). Nato a Lipsia da padre italiano e madre persiana è un volto storico del programma Le Iene, esperto di lingue e letterature africane. Un giornalista che ha fame di mondo, sempre con la valigia in mano. «Hello Goodbye è molto nelle mie corde, perché stare in aeroporto è come viaggiare da fermi. E' il mio contesto di vita ideale».

Cos'ha messo della sua esperienza giornalistica nel programma?

«Ho scoperto che le storie si possono raccontare anche in posti impensabili, come un aeroporto. Ho sempre creduto che le interviste richiedessero intimità. Ritenevo inconcepibile che le persone riuscissero ad aprirsi in un luogo pieno di carrelli, altoparlanti, luci...»

E invece?

«Invece, in un mondo in cui i nostri interlocutori sono distratti davanti allo schermo di un cellulare, a volte basta un po' di attenzione per creare un'empatia che permetta alla gente di aprirsi ovunque. Soprattutto in posti come un aeroporto, che sono carichi di storie».

Cosa le ha dato, quindi, Hello Goodbye?

«Sono un tipo riflessivo, che ha bisogno di elaborare, programmare. Questo format mi ha insegnato ad afferrare le storie al volo. E ce ne sono passate davvero tante, tra le mani».

Ha qualche aneddoto da raccontare?

«Ho incrociato una badante moldava che accompagnava alle partenze il figlio diciottenne e sua mamma (la nonna del ragazzo), con cui lui era cresciuto. Da quando è nato, sua madre lo aveva visto per due settimane all'anno, mentre lei aveva sempre lavorato qua in Italia. E' una piccola storia che racconta quella di un popolo, delle donne dell'est Europa e delle Filippine, che si ritrovano con il dramma di crescere figli di altri al posto dei loro»

Altre storie, invece, l'hanno divertita?

«Due ragazze che aspettavano dei ragazzi conosciuti in chat. Appuntamenti al buio con un grande punto interrogativo».

Che affinità c'è tra il giornalismo d'inchiesta, di cui si è spesso occupato, e un format come questo?

«Il dialogo con le persone, l'empatia. E' lo stesso sport. Ho trovato molte affinità tra Hello Goodbye e Le Iene, per esempio. Entrambi danno del tu alle persone e hanno un linguaggio diretto».

Come se la passa il giornalismo italiano?

«Il mio giornalismo di riferimento è quello americano. Il nostro è molto di osservazione, spesso superficiale, formale. Come dice Davide Parenti (autore e ideatore della versione italiana de Le Iene) i giornalisti scrivono solo per giornalisti, non per i lettori. Eppure noi tutti, per natura siamo affascinati dalle storie, dal cuore di una narrazione. Un programma come Le Iene parla alla gente, al pubblico e non servono termini troppo elaborati. Ho applicato questo metodo anche in Hello Goodbye».

Lei sa molte lingue.

«Ne so otto: di certo ho sbagliato lavoro, avrei dovuto concentrarmi su una carriera accademica. Le lingue sono il mio rifugio, le apprendo facilmente, dopo un po' si affina la tecnica. Conosco inglese, tedesco, francese, spagnolo, swahili, wolof, hindi, portoghese».

Il prossimo viaggio che farà?

«Sono appena tornato dalla Tanzania, in cui sono rimasto per otto giorni. Viaggio molto, ma le condizioni a volte sono estreme. Si lavora continuamente fino a sera, in posti difficili, poi ci si butta a dormire».

Il punto fermo?

«La mia famiglia. Sto con la stessa donna da quasi vent'anni. E ho due bambini di 7 e 5 anni, Jasmine e Sebastian. Partire a volte diventa un problema, i miei bimbi mi dicono quando torni?. Con la testa vorrei rallentare, ma poi prenoto un biglietto per l'altra parte del mondo. E' il mio lavoro, la mia vita».

Al centro ci sono le emozioni

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Gioie, paure e speranze di chi parte e di chi arriva

Storie di arrivi, di partenze. Il set è l'aeroporto milanese di Malpensa, teatro di cinque episodi da un'ora (in onda dal domani su Real Time alle 22.20, ogni venerdì), che raccontano emozioni, gioie, paure e speranze di chi aspetta o è in partenza. Giovani che cercano fortuna in altri continenti, una squadra di ginnastica che si allena ai gate, un'orchestra in partenza per la Cina, emigrati che tornano in terra natia per riabbracciare i propri cari. Come la storia di una donna siciliana che stava aspettando la sua nipotina, in arrivo dal Brasile. Suo figlio era morto in un incendio in Sudamerica, e lei, dopo tanti anni, era riuscita a convincere la madre della piccola a mandarla in Italia, per farla studiare. Storie di vita, intense, commoventi o divertenti. La forza di questo programma è l'improvvisazione, c'è poca scrittura. Le buone inchieste di solito richiedono studio, preparazione. Qui serve invece un buon intuito. Hello Goodbye, format fortissimo in Canada, Olanda e Inghilterra e riadattato in Italia per Discovery dalla DueB, mostra sempre più la direzione di Real Time. «Il canale si è evoluto dal solo mondo dei tutorial verso dinamiche di intrattenimento e storytelling - spiega Gesualdo Vercio, direttore di rete - La grande spinta l'abbiamo avuta con Bake Off in prima serata e con il day time di Amici. Hello Goodbye ha la capacità di raccontare emozioni, nude e crude. Questo segna la nostra direzione di Real Time, sempre più rivolta al racconto di storie, possibilmente universali e internazionali, con particolare attenzione al pubblico femminile, nostro target di riferimento».LS

Cindy Crawford, le foto della sexy modella

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Fonte foto: 
Getty
Cindy Crawford, le foto della sexy modella 3
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Una carrellata di immagini di Cindy Crawford: la modella è stata un mito della moda negli anni '80 e '90, una delle top model più amate e celebrate

Cindy Crawford ieri e oggi. Ecco alcune immagini della top model - una delle più amate di tutti i tempi - dai suoi esordi a scatti più recenti. Crawford ha attualmente 52 anni e una figlia che sembra ripercorrere le sue orme nel mondo della moda.


Cindy Crawford pentita per alcune foto di nudo

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Cindy Crawford racconta in un'intervista alcuni dettagli della sua carriera: vuole essere un buon esempio come madre, rinnegando alcune vecchie foto di nudo

Cindy Crawford non è completamente orgogliosa del suo passato, tanto da rinnegare alcune scelte di carriera. In una recente intervista, come spiega FoxNews, la top model ha svelato qualche rammarico per alcune foto di nudo scattate in passato. Non tutte, solo alcune in particolare, così come spiegato più volte negli ultimi tempi. La modella aspira infatti a essere una buona madre e, nel clima che si respira oggi nel mondo dello spettacolo, ritiene di dover dare l'esempio su ciò che sia giusto fare per la propria carriera. Anche perché, dice, i giovani non sempre ascoltano gli insegnamenti, ma seguono i modelli.

La scelta di Crawford non ha nulla a che fare con le accuse di molestie che hanno investito lo showbiz. "Sono molto fortunata perché non ho una storia di #MeToo", ha spiegato la modella, facendo riferimento alle donne - attrici, modelle, artiste varie - che in questi mesi stanno raccontando le violenze subite sul posto di lavoro. Crawford, inoltre, sottolinea come i suoi figli siano privilegiati nell'affacciarsi al mondo dello spettacolo portando un nome così famoso.

Come Kaia, la figlia sedicenne che, durante la Settimana della Moda, è stata considerata praticamente una stakanovista della passerella. Mamma e figlia parlano ogni giorno, si scrivono ogni giorno se sono lontane. E se Kaia non dovesse rispondere, la top model è pronta a mandarle sms pieni di lettere maiuscole e punti esclamativi o, in ultima istanza, tracciare i suoi spostamenti con l'account Uber della figlia.

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Gerry Scotti: "Frizzi? Alcune cose subite non le hanno fatto bene"

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Gerry Scotti è un uomo genuino, non ha mai nascosto le sue emozioni. E non lo ha fatto nemmeno in questa occasione con la morte di Fabrizio Frizzi

Gerry Scotti è un uomo genuino, non ha mai nascosto le sue emozioni. E non lo ha fatto nemmeno in questa occasione con la morte di Fabrizio Frizzi. Durante i funerali aveva detto soltanto "abbiamo bisogno di brave persone". Ma dopo una settimana Gerry ha deciso di parlare del suo dolore per la perdita di questo amico che conosceva da tantissimi anni: "A Fabrizio è capitato un paio di volte di dover mandare giù un rospo e non credo che abbia fatto bene né alla carriera né alla salute, qualche pecca nel meccanismo c’è stato e lui ha saputo passarci sopra e portare il suo impegno rimanendo Fabrizio Frizzi", ha spiegato in un'intervista a Chi.

Poi sulla carriera di Frizzi, il conduttore Mediaset ha parlato del suo passato: "Meritava certamente di più, ma penso che le signore che mi hanno baciato al suo funerale abbiano capito più di tanti altri l’importanza e il privilegio di essere come lui". Infine l'affondo che svela anche quanto Frizzi soffrisse per alcune delusioni: "Fabrizio soffriva per le ingiustizie subite, ha ingoiato tanti rospi. In Rai ci sono persone che si dovrebbero vergognare".

Kim Kardashian, le provocazioni hot

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Fonte foto: 
Getty Images, Instagram
Kim Kardashian, le provocazioni hot 1
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Kim Kardashian lascia sempre i fan senza fiato, per le tante provocazioni hot sui social e durante gli eventi in cui appare: ecco le foto

Le immagini di Kim Kardashian nelle tante provocazioni hot che la star pubblica sui suoi social e durante gli eventi a cui partecipa: è divenuta famosa anche per le sue foto con seno generoso e lato b, esibiti in quasi tutte le possibili varianti.

Isola dei Famosi, l'ex di Uomini e Donne insulta Bianca: "Dovevi fare l'attrice. Sei una m..."

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Elga Enardu si è scagliata senza mezzi termini contro Bianca Atzei durante la diretta dell'Isola: "Non ti escono nemmeno le lacrime, te ne devi andare a casa"

L'undicesima puntata dell'Isola dei Famosiè stata piuttosto intensa, i naufraghi, infatti, hanno passato parecchio tempo a litigare e a dirsene di ogni.

Ma proprio durante la diretta un'ex amica di Bianca Atzei si è scagliata contro di lei senza mezzi termini. L'ex amica in questione è Elga Enardu, ex tronista di Uomini e Donne, che su Instagram ha dato sfogo ai suoi pensieri. "Ma questa non doveva fare la cantante, doveva fare l'attrice, ma premio Oscar. Anzi neanche perché è un'ora che piange e non si vedono neanche le lacrime. Ma vai a casa", ha esclamato Elga.

Ma l'attacco di Elga Enardu non si è fermato qui. Anzi. Più la naufraga dell'Isola veniva tirata in ballo nelle discussioni, piangeva e si diceva triste per quello che stava accadendo nel programma, l'ex tronista di Uomini e Donne rincarava la dose: "È proprio curioso vedere questo programma quando conosci una persona e ti rendi conto di quanto a casa arrivino le persone in modo completamente diverso da quello che sono, è veramente incredibile. Ma una persona (si riferisce a Bianca, ndr) non si sa difendere perché ti stai arrampicando agli specchi, porella".

E nel finale delle storie di Instagram, Elga inquadra il confronto tra la Atzei e Filippo Nardi. Bianca confessa di aver creduto per un momento che l'ex naufrago dell'Isola avesse un'interesse nei suoi confronti, ma proprio qui arriva il colpo di grazia della Enardu: "Ti sarebbe piaciuto, tu sei una merda, è ufficiale, non avevo dubbi. Sei una merda".

Parole grosse e pesanti che probabilmente faranno infuriare Bianca quando uscirà dall'Isola.

L’ex tronista #ElgaEnardu contro la naufraga #BiancaAtzei. Che ne pensate? #GossipTvOfficial #UominiEDonne #isoladeifamosi

Un post condiviso da Gossip Tv (@gossiptvofficial) in data: Apr 4, 2018 at 2:48 PDT

Kim Kardashian esagera con Photoshop: l'accusa

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Dopo aver pubblicato una foto su Instagram, i fan chiedono a Kim Kardashian di essere se stessa, accusandola di esagerare con Photoshop per ritoccare il suo corpo

Dopo esser stata al centro delle polemiche per aver indossato una parrucca durante una campagna pubblicitaria dedicata al make-up, Kim Kardashian finisce di nuovo sotto accusa per aver esagerato con Photoshop, il software di fotoritocco che utilizzerebbe per modificare il suo corpo.

Kim Kardashian non si è mai sottratta dal mettere in mostra il suo corpo incredibile, ma lo scatto che ha da poco pubblicato su Instagram - in cui si mostra in intimo - ha scatenato la reazione negativa da parte di tanti fan, i quali le chiedono di essere se stessa e di smetterla di esagerare con il fotoritocco.

Alla fine dello scorso anno, Kim e le sue sorelle hanno posato in un servizio di lingerie per il marchio Calvin Klein; nelle scorse ore, la moglie di Kanye West ha pubblicato un selfie scattato dal dietro le quinte del set per condividerlo con i propri fan sul noto social, non convincendo però i seguaci. Il pubblico ha infatti subito invaso non solo Instagram ma anche Twitter, accusandola di aver aspettato tutto questo tempo per pubblicare la foto, solo perché intenta a usare Photoshop.

Found this pic I took in the bathroom on set of My @calvinklein shoot #MyCalvins #ad

Un post condiviso da Kim Kardashian West (@kimkardashian) in data: Apr 4, 2018 at 11:16 PDT

Il dettaglio che ha sollevato le accuse è relativo alla porta, la cui linea è distorta, segno che la star 37enne abbia ritoccato le gambe, forse per snellirle. "Sii reale nelle foto!", sostiene una fan, mentre altri utenti la accusano di dare alle ragazze aspettative di immagini del corpo non realistiche.

Mentre Kim Kardashian aveva confermato di indossare una parrucca nella recente campagna per KKW Beauty X Mario, non ha ancora fornito alcun commento circa le nuove accuse.

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