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Bianca Atzei torna a cantare: "La musica dà forza"

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La Atzei è tornata ad esibirsi a Napoli e ha parlato dell'incidente di Max: "Sta migliorando. Ci tenevo a ringraziare tutte le persone che lo seguono"

Bianca Atzei torna a dare informazioni delle condizioni di salute di Max Biaggi. La cantante è tornata ad esibirsi a Napoli e ha parlato dell'incidente di Max: "Sta migliorando. Ci tenevo a ringraziare tutte le persone che lo seguono, gli danno tanta forza e tanto calore e ne danno anche a me. In questo momento ci sta guardando". Insomma la Atzei ha ritrovato un pizzico di serenità e il suo ritorno in pubblico testimonia come le condizioni del pilota, seppur lentamente, stiano migliorando. Ed è stata lei stessa a comunicare ai suoi fan l'idea di vole tornare sul palco con un messaggio su Instagram: "Stasera dopo i diversi impegni annullati per i motivi che sapete tornerò sul palco per l'evento del Pizza Village di Napoli. Capiterà ogni tanto di allontanarmi per riprendere il mio lavoro ma anche perché cantare mi dà gioia e so che anche Max è felice per me e sarà con l'iPad davanti per guardarmi e seguirmi su Rtl102.5. E poi torno da lui per continuare ad accudirlo. Ormai sono una crocerossina. Attendiamo con ansia i miglioramenti anche se rimane ancora per il momento ancora in terapia intensiva. Credo che la musica e il canto siano una potente medicina e possono migliorare il suo stato d'animo ma anche il mio".


La diplomazia dell'intelligenza Talleyrand genio trasformista

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Altro che il «Girella» sbeffeggiato dal Giusti. Il francese attraversò ogni regime, ma fu sempre fedele al suo Paese

Dino Cofrancesco

Nelle scuole del tempo che fu, il nome di Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, Principe di Benevento, era associato al Brindisi di Girella (1840) di Giuseppe Giusti. Il grande diplomatico, «una delle menti più illuminate e perspicaci della sua epoca», era passato indenne e da protagonista attraverso tutti i regimi politici, dalla Monarchia alla Repubblica giacobina, dal Direttorio al Consolato, dall'Impero alla Restaurazione, finendo in gloria i suoi giorni in piena Monarchia di luglio. Gli faceva dire Giusti: «Ho celebrato/ e troni e popoli/ e paci e guerre;/ Luigi, l'Albero,/ Pitt, Robespierre,/ Napoleone,/ Pio sesto e settimo/ Murat, Fra Diavolo,/ il Re Nasone,/ Mosca e Marengo;/ e me ne tengo». Va detto, però, che cent'anni dopo, Guglielmo Ferrero in Reconstruction. Talleyrand à Vienne, rendeva omaggio al ricostruttore dell'Europa messa a soqquadro dall'avventura napoleonica, che aveva fatto rientrare un «grande re nella sua reggia alle Tuileries riconducendovi i due geni che la Rivoluzione aveva prima aizzati l'uno contro l'altro e poi messi in fuga: il diritto divino e la Carta» costituzionale.

Personaggio sicuramente di grande statura, Talleyrand aveva affascinato, tra gli altri, Henry Lytton Bulwer che gli aveva dedicato uno dei saggi degli Historical Characters (1868). Lo scritto interessò molto Charles-Augustin de Sainte-Beuve, scrittore e critico francese tra i più prolifici e geniali del suo tempo, e gli fornì l'occasione per misurarsi anche lui con un protagonista così controverso della storia francese: sotto la guida di Sir Henry Bulwer, «ma un poco meno indulgente di lui, su questa vita e su questo personaggio dal triplice e quadruplice fondo». Ne risulta un ritratto realistico, a tratti spietato, in cui all'ammirazione per le doti diplomatiche e le straordinarie capacità di uomo di Stato di cui aveva dato prova Talleyrand si uniscono giudizi di implacabile severità: «il meno scrupoloso degli uomini di Stato», «la venalità, ecco la piaga di Talleyrand, piaga schifosa, cancro roditore che invade il fondo». Sainte-Beuve, storico di Port Royal, uomo della destra bonapartista, era un inguaribile moralista. A Victor Cousin, entusiasta dall'ultimo discorso di Talleyrand all'Accademia delle Scienze Morali e Politiche - «È Voltaire, è il miglior Voltaire» - obietta che «Apostolo della ragione sino all'ultimo, si può dire che Voltaire è morto combattendo. La fine della sua vita non è stata simile a una partita di whist dove si vince calcolando».

Francesco Perfetti, nella sua magistrale «Prefazione» al Talleyrand di Sainte-Beuve (da poco uscito presso Nino Aragno Editore, euro 15), non concorda: «Talleyrand fu, proprio, intelligenza allo stato puro: accoppiata con il cinismo, il realismo politico, il gusto per l'intrigo, la passione per gli affari, la capacità quasi rabdomantica di saper cogliere le linee di tendenza della storia. Tuttavia, il suo amoralismo, checché ne dica Sainte-Beuve trovò, vale la pena di ribadirlo, un limite nella convinzione che non si dovessero discutere la grandezza storica e l'importanza politica del proprio paese».

Lo stesso Sainte-Beuve, nondimeno, è costretto a riconoscere il talento non comune di Talleyrand: i suoi lumi lo lasciavano freddo, nella sua ambizione politica non v'erano né coraggio né sentimenti elevati, ma non gli difettava l'intelligenza degli uomini e degli eventi. «Il signore di Talleyrand, pur approfittando della sua posizione per aumentare le sue ricchezze con mezzi a volte poco delicati, non si è mai lasciato impegnare, nemmeno da potentissimi motivi di interesse, a favorire piani che avesse ritenuto dannosi alla pace europea». E per spiegare l'allontanamento dall'avventuriero Bonaparte, fa un'annotazione geniale: «Le menti in cui predomina il buon senso hanno questo di felice o di infelice, ma di irresistibile: quando si trovano in presenza di atti o di progetti smisurati, imprudenti, irragionevoli, non si lasciano vincere né da affezione né da interesse; un po' prima, un po' dopo, non possono fare a meno di disapprovare. Se poi non mancano né di spirito né di mordente, difficilmente si priveranno del pronunciare parole taglienti. Il dardo una volta fuggito, corre, ferisce, irrita».

È pur vero che ad ogni riconoscimento segue il leitmotiv della corruzione: «fece del suo meglio per servire il governo e il monarca che gli avevano affidato i loro interessi, e per rendere alla Francia dignità e autorità nei consigli d'Europa. Disgraziatamente non è meno certo che non perdette occasione di tornare alla sua vecchia abitudine di trafficare e di mercanteggiare». Sainte-Beuve non tralascia, comunque, di ricordare quale acuto osservatore fosse Talleyrand, dal Rapport sur l'instruction publique (1791) - che Walter Maturi definiva stupendo - al Mémoire sur les rapports actuels de la France avec les autres États de l'Europe (1792), alle considerazioni sugli Stati Uniti in cui si era prudentemente recato dal 1794 al 1796.

Talleyrand si chiedeva per quali ragioni gli americani sentissero un'inclinazione tanto forte per gli inglesi fino a pochi anni prima nemici mortali. «L'identità di linguaggio, spiegava, stabilisce tra gli uomini dei due paesi un carattere comune che li porterà sempre a ritrovarsi e a riconoscersi; si crederanno reciprocamente a casa propria quando viaggeranno l'uno nel paese dell'altro; scambieranno con reciproco piacere la pienezza dei loro pensieri e tutte le discussioni dei loro interessi, mentre una barriera insormontabile si alza tra i popoli di lingua diversa che non possono pronunciare una parola senza accorgersi di non appartenere alla medesima patria; tra i quali ogni scambio di pensieri è una fatica penosa e non un godimento; i quali non riescono mai a comprendersi perfettamente, e che per il risultato della conversazione, dopo essersi stancati in impotenti sforzi, si trovano reciprocamente ridicoli».

Il realismo di Talleyrand colpisce ancora oggi per la sua capacità di mettere a fuoco problemi che noi europei forse siamo portati a sottovalutare.

Storie che incantano C'è ancora vita sul Pianeta Pittura

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Le trame da film della rivelazione Walker a confronto con la pura bellezza di Bradford

Andrea Dusio

Bistrattata, espulsa dalle Biennali e dagli spazi pubblici, irrisa da curatori e artistar del concettuale, la pittura sembrava uscita di scena. Chi la praticava ormai si converte alla scultura o alla fotografia, al riparo dallo scetticismo dei critici, oppure continua a frequentarla in maniera carbonara, all'interno di circoli chiusi e defilati, piccole conventicole i cui adepti vaneggiano da anni di un suo possibile ritorno. E se le attese messianiche sembrano scontrarsi con la logica di un mercato saturato dagli artisti storicizzati, che occupano tutti gli spazi possibili nelle fiere e nelle aste, per vedere un po' di pittura bisogna allora sperare nell'attività di quelle poche gallerie che ancora la difendono con coerenza, proponendo artisti che non si vergognano di dipingere in un modo attento alla qualità del gesto e della tecnica, senza rinunciare alla figurazione e all'idea che davanti a un dipinto ci sia ancora qualcosa da osservare, un racconto in atto o una cifra poetica accessibile all'occhio. In questi giorni abbiamo visitato due mostre milanesi, dedicate l'una alla scozzese Caroline Walker, giovane pittrice (classe 1982) di Glasgow, e l'altra a Katherine Bradford, matura artista newyorkese (è del 1942).

Il lavoro della Walker è seguito puntualmente da Project B (via Maroncelli 7), che ha già ospitatato le sue tele in occasione di altre due personali, nel 2013 e 2014. Caroline opera per molti versi come una regista cinematografica. Individua attori che fa muovere all'interno di spazi definiti, scegliendo spesso di frapporre tra sé e i modelli superfici riflettenti e specchianti. Vetrine di negozi, grandi ville hollywoodiane, sontuosi chalet di montagna, all'interno dei quali possiamo osservare i suoi personaggi, studiare le relazioni che i loro sguardi e gesti lasciano immaginare. L'artista fotografa i suoi soggetti e poi lavora in studio sugli scatti, costruendo le scene di quella che potrebbe essere la trama di un film. Lo sguardo arriva sino a un certo punto, scegliendo di mantenere una distanza, come se la pittura non dovesse occuparsi di indagare la verità sino in fondo, ma di rappresentare la parte di realtà che resta ineffabile. Le protagoniste dei suoi dipinti sono quasi sempre donne, che nelle occupazioni e nell'impiego del tempo libero, nelle posture e negli affetti riflettono la propria posizione nel mondo. Ma non c'è alcuna intenzione di narrazione naturalista o sociale. La Walker alterna campo lungo e primo piano, ma non scioglie sino in fondo il plot, e le vetrate che ci dividono dalla scena che osserviamo sono in definitiva una scelta di reticenza e sospensione. Vogliamo davvero partecipare a quella festa? Non è meglio starcene qui, ad ammirare com'è il mondo filtrato dalle sue pennellate corpose e luminose, organizzato dalle sue prospettive intuitive, un'approssimazione che promette di essere più appagante della realtà?

Katherine Bradford espone invece per la prima volta in Italia, grazie a Monica De Cardenas (via Vigano 4), una delle poche galleriste che lavora ancora sistematicamente col figurativo (penso alle mostre recenti di Alex Katz, Benjamin Senior, Serban Savu). La cifra ricorrente di questa pittrice è l'ambientazione delle sue tele (in questo caso quasi tutte di piccole dimensioni) in uno scenario planetario. In questa serie, dedicata a figure di nuotatori, stelle e fondali si fondono, riflettono e scambiano, in un paesaggio onirico che è enfatizzato da una tavolozza attentissima ad accordature sempre sorprendenti e di grande poeticità. La Bradford ha scelto come oggetto della propria ricerca il tabù per eccellenza dell'arte contemporanea: la bellezza. E per di più lo persegue nel modo più diretto, la rappresentazione in forme semplificate e appiattite, con accostamenti di colori sulla superficie della tela. Trascorre mesi e in qualche caso anni a stendere i diversi strati di pittura acrilica, facendo cambiare lentamente le proprie opere, che da un lato conservano l'insofferenza alla descrizione naturale di un fauve, e dall'altro sono il prodotto di una lunga meditazione, come se da qualche parte a bordo delle sue piscine lunari Matisse avesse incontrato Rotkho. Se nei dipinti della Walker potremmo riconoscere con sicurezza i luoghi, le case, persino le stanze e le ore del giorno, la Bradford si muove in un mondo incorporeo e ultraterreno, di pura poesia. La vita e il sogno, insomma. Cose che la pittura sembrava aver dimenticato da tempo immemorabile.

Salemme, Boldi, Ligabue Medusa punta sul cinema di casa nostra

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Gianpaolo Letta: «Avanti nonostante la crisi Una carta vincente è la bella sceneggiatura»

Cinzia Romani

Il cinema italiano è quello che è: in crisi da sempre, in lotta con leggi dissennate, in perdita di pubblico, disaffezionato da tempo e non per capriccio, come sostiene Nanni Moretti che schifa il cinespettatore medio, a suo dire troppo umorale. Eppure Medusa, leader d'un mercato irto di problemi, non molla e rilancia. Forte d'una messe di premi prestigiosi soltanto Indivisibili ha ricevuto sei David di Donatello; due Nastri d'Argento e sei candidature; otto Ciak d'Oro, un Globo d'Oro e quattro premi alla Mostra di Venezia e di conferme recenti quali L'ora legale di Ficarra&Picone (10.290.460 euro al box office), la società capitanata da Giampaolo Letta scommette sul tricolore. Ed è tutto italiano il listino 2017-2018 presentato ieri all'Aventino dall'amministratore delegato del gruppo, in compagnia di Carlo Rossella a officiare il rito dei bilanci estivi. Da Massimo Boldi, nel cinepanettone Natale da chef (dal 14 dicembre), diretto da Neri Parenti, all'atteso Made in Italy (da febbraio) di Luciano Ligabue, in lavorazione a Reggio Emilia e idealmente conclusivo della trilogia del rocker, comprensiva di Da zero e dieci e Radio Freccia, fino al surreale Riccardo va all'inferno, musical di Roberta Torre in odore di passerella al Lido, il nostro cinema viene al primo posto.

«Lo spettatore è sempre più selettivo e ciò porta a premiare soltanto film-evento. Né è giusto conferire unicamente ai film di Sorrentino ogni risorsa economica. Ma dobbiamo fare autocritica: non è colpa di Netflix o della televisione se il pubblico si sta spostando dalle sale a un altro tipo di fruizione. Il nostro sforzo è quello di lavorare sulla qualità e sulla diversità dei generi, cercando nuove storie e qualità di scrittura. Girano tante storie, ma se non le si scrivono bene le belle idee restano tali», spiega Giampaolo Letta, ribadendo come il cuore del film sia la sceneggiatura. E se occorre aspettare il 2019 per il prossimo film di Checco Zalone, che sente la responsabilità d'essere traino d'un settore in affanno, è pronto il thriller La ragazza nella nebbia del giallista Donato Carrisi, pure autore dell'omonimo bestseller (Longanesi) dal quale trae la sua sceneggiatura: Toni Servillo indaga sulla scomparsa della lentigginosa sedicenne Anna-Lou, mentre Jean Reno e Alessio Boni si aggirano tra fossi e ghiacci alpini. Per gli amanti delle tinte forti, la rilettura, in forma di musical, dello shakespeariano Riccardo terzo reca la firma di Roberta Torre e il protagonismo di Massimo Ranieri, che canta alla Tom Waits. Un film rutilante, che ha buone chances d'andare al festival di Venezia.

Ma è la commedia il caposaldo distributivo: da Caccia al tesoro di Carlo Vanzina, con i collaudati Vincenzo Salemme, Carlo Bucciosso e Max Tortora a industriarsi intorno al tesoro di San Gennaro a Matrimonio italiano di Alessandro Genovesi, focalizzato sulle unioni civili gay (nel cast Diego Abatantuono, starring un padre che si crede liberale, salvo sorprendersi quando il figlio gli porta il suo promesso sposo), fino a Una festa esagerata di e con Vincenzo Salemme, che riprende la sua piéce teatrale. Insistere sul made in Italy, fin qui bocciato, potrebbe risultare rischioso. Tanto più se Medusa «viene scoraggiata a investire nel cinema: i vari strumenti tra tax credit e contributi automatici premiano i soggetti dipendenti, con crediti al 30% del film, penalizzando gli indipendenti come noi», sottolinea Letta, riflettendo sul fatto che Medusa deve rinunciare alla proprietà dei film distribuiti, in virtù d'una «concorrenza sleale». Anche perché, con un listino intorno ai 30 milioni di euro, il manager si sarebbe aspettato «un incentivo a investire di più». Meglio puntare su The Place di Paolo Genovese, con i nostri attori più bravi. Tempo di vacche magre, però: negli ultimi otto mesi, su 243 film in circolazione, soltanto 26 hanno incassato più di un milione; 36 tra un milione e 100mila euro e tutti gli altri sotto i 100mila euro. Eppure, rimane Il vizio della speranza, umana abitudine a cercare il bene, come s'intitola il drammatico film del napoletano De Angelis, che stavolta parlerà di riconciliazione. Aspirando alla Croisette.

Essere moderni tornando al passato

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«Tornate all'antico e sarà un progresso»: era questa la frase che il maestro Giuseppe Verdi era solito dire alla fine dell'Ottocento ai suoi amici. Una frase apparentemente provocatoria che, in realtà, contiene grandi verità. Un esempio è di questi mesi per chi ha avuto la fortuna di visitare la mostra TV: 70 Francesco Vezzoli guarda la Rai aperta fino al 29 settembre alla Fondazione Prada. Una mostra che narra non sempre in modo analitico ma emozionale gli anni ruggenti della nostra televisione pubblica fatta di racconti e d'insegnamenti, di maestria e alta professionalità. Una televisione capace sia di intrattenere, essendo popolare, ma anche capace di diventare didattica riuscendo a combattere anche l'analfabetismo. Vezzoli scompone ed interpreta quel periodo storico fatto di passioni e speranze e lo fa con la sensibilità dell'artista autentico. Terminata la mostra un sapore amaro ti rimane in bocca; il confronto con certa televisione contemporanea è impietoso e come dice Lucio Presta «una volta c'erano persone che facevano la tv, oggi ci sono persone che ci vanno». Ma allora come non dare ragione a Giuseppe Verdi immaginando che l'unica cosa che ci rimane da sperare è quella di un ritorno al passato per essere moderni?

Giletta, il misticismo della pittura

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Nelle sue opere la figura umana supera la realtà e tende al divino

Stefano Duranti Poccetti

Gli ultimi anni sono stati un vero crescendo per l'artista Franco Giletta, che dopo la partecipazione nel 2011 alla 54° Biennale di Venezia è stato chiamato nel 2015 a esporre la sua opera Goccia Divina Omaggio al Monviso a Eataly in occasione dell'Expo di Milano. L'anno seguente il suo lavoro L'Angelo della Pace è stato invece messo in mostra nell'altra nuova sede di Eataly al World Trade Center a New York. Questo successo è il risultato di anni e anni di attività, che hanno permesso al pittore di Saluzzo di trovare un proprio segno distinguibile, espresso attraverso lo stile figurativo, che non è morto, ma che, anzi, viene utilizzato ancora oggi da molti artisti contemporanei.

È forte nelle opere di Giletta la presenza della figura umana, di norma la protagonista dei dipinti, di grandi dimensioni. Essa assume in parte quelle sembianze della tradizione pittorica, ma tramite la sua mistica fissità si eleva verso il divino, evocando sensazioni che vanno aldilà della mera sfera reale. L'Angelo della Pace per esempio sembra osservare lo spettatore non solo per ammaliarlo con la sua bellezza formale, ma anche e soprattutto per esprimere la sua esigenza di un mondo lontano dalle guerre, in cui dovrebbe sempre sprizzare un arcobaleno e dove non dovremmo mai assistere ad atti di violenza, ma solo a pace e armonia, quell'armonia che si respira anche nella Goccia Divina, dove un bellissimo soggetto femminile si è assopito con il volto che segue le forme delle montagne sullo sfondo. È così che Giletta, le cui gallerie di riferimento sono l'Etra Studio Tommasi di Firenze di Francesca Sacchi Tommasi e la Galleria Triphé di Maria Laura Perilli, ci parla di attualità tramite la tradizione con un segno decisamente personale.

Quando l'Italia all'improvviso si riempì di partigiani inesistenti

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Matteo Sacchi

Arriva oggi in edicola con Il Giornale (a 9,90 euro più il prezzo del quotidiano) l'ultima parte della Storia della guerra civile in Italia 1943-1945 scritta dal giornalista Giorgio Pisanò (1924-1997). In questo volume, che contiene anche una consistente parte di apparato, Pisanò fa il punto su una delle questioni più controverse relative allo scontro tra fascisti e antifascisti. Ovvero la consistenza delle forze partigiane. Quando Pisanò pubblicò le cifre presenti nel volume la storiografia ufficiale si limitava ad accettare i dati della presidenza del Consiglio dei ministri che parlavano di 393mila combattenti.

Pisanò con uno studio puntuale dimostrò che in realtà quella cifra era ampiamente gonfiata. Avvicinandosi il 25 aprile un gran numero di persone che con la Resistenza vera nulla avevano avuto a che fare pensarono infatti di schierarsi dalla parte dei vincitori. Fatto per altro denunciato anche da alcuni partigiani come il generale Trabucchi: «Al 25 aprile... entrò nelle formazioni il flotto della razzamaglia: avventurieri, disertori, profittatori, gente che aveva qualcosa da far dimenticare, da occultare...». Ma quale fu allora la vera consistenza militare della Resistenza? I numeri di Pisanò, poi confermati dalla storiografia più recente, parlano di forze che non superarono mai gli 80mila uomini. E questi dati ci dicono due cose. La prima: il contributo militare dei partigiani non può essere sopravvalutato. La seconda: bisognerebbe distinguere tra chi quel contributo lo diede e chi saltò soltanto sul carro dei vincitori e magari, da quel carro, esercitò le sue vendette private.

Una gaffe rivela l'identità di Banksy (forse)

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Sarebbe, come già ipotizzato, Robert Del Naja, musicista della band Massive Attack

Eleonora Barbieri

«D atemi una lettera un po' cicciottella, mettetela su una maglietta, scriveteci Banksy e siamo a posto. Possiamo venderla anche subito. Non è mancanza di rispetto verso Robert, credo sia un artista eccezionale. Credo abbia ribaltato il mondo dell'arte». Robert?

È andata così: Goldie, musicista elettronico britannico con un passato da artista di graffiti, durante una intervista si è lasciato sfuggire il nome di battesimo - Robert - di Banksy, lo street artist più famoso del mondo, famoso anche per il fatto che, da vent'anni a questa parte, ha sempre tenuto nascosta la sua identità. E siccome uno degli indiziati più sospettati di essere Banksy è Robert Del Naja, musicista dei Massive Attack, la gaffe di Goldie ha fatto subito pensare a Del Naja. Anche perché Goldie e Del Naja sono amici di lunga data e negli anni Ottanta parteciparono insieme a una grande battaglia fra i graffitari del Regno. Lo stesso Goldie ha capito di avere parlato troppo: dopo la frase rivelatrice ha fatto una pausa di qualche secondo. L'intervista era all'interno di un programma podcast che si intitola Distraction Pieces, quindi si può capire: si è distratto un pochino.

Lo scivolone di Goldie non sarebbe così indicativo, se già i sospetti non si fossero concentrati da tempo su Robert Del Naja. Lo scorso anno, dopo una inchiesta durata mesi, il giornalista Craig Williams aveva concluso che dietro Banksy si nascondesse proprio il musicista, che ha scelto 3D come nom de plume. Motivi principali: Del Naja è un graffitaro; è di Bristol, la città di Banksy; e, soprattutto, opere di Banksy sono apparse in varie città del mondo subito dopo le tappe del tour dei Massive Attack, per esempio a Melbourne nella primavera del 2003 o a San Francisco nella primavera del 2010.

L'ipotesi di Williams è che Banksy sia un collettivo (i membri della band britannica appunto) guidato da Del Naja. Il quale ha sempre negato: «Siamo tutti Banksy» ha detto una volta durante uno spettacolo. E ancora, come ricorda il Telegraph, per spiegare la concomitanza fra opere e tappe del tour: «È un amico. È stato ad alcune delle serate. È soltanto una questione di logistica e di coincidenze, niente di più». Spiega l'Independent che Del Naja aveva definito la storia di Williams «buona, ma purtroppo non vera». Eppure l'introduzione al libro dello stesso Del Naja (3D and the Art of Massive Attack, pubblicato nel 2015) è firmata... da Banksy. Insomma le «coincidenze, niente di più» iniziano a essere molte.

Il fatto è che, per anni, parte del fascino dei lavori di Banksy si è basato proprio sul suo anonimato, sul mistero nascosto dietro opere così pubbliche come i graffiti. È anche per questo, non solo per i suoi messaggi anti establishment, che è diventato il re della street art, con merchandising che vale milioni (come ha sottolineato l'amico Goldie nell'intervista...) e collezionisti disposti a spendere cifre a sei zeri (come Brad Pitt e Angelina Jolie). Ora che l'identità è svelata, ora che non è più sfuggente come le «apparizioni» dei suoi graffiti, che ne sarà della sua fama e del suo valore? Ah, Goldie, visto il tuo nome dovresti saperlo che il silenzio è d'oro...


«Quanti guai con i tedeschi per una pistola... ad acqua»

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Gabriella Cantafio

Primogenito di Faber, venuto al mondo durante una tormenta di neve, presagio della tempesta di una vita di cadute e risalite, Cristiano De André, cantautore polistrumentista, si racconta a Off in un momento di pausa dal tour «De André canta De André».

Con un cognome così preponderante viene da pensare che la tua carriera sia stata designata dai primi anni. In realtà, qual è stata la cometa che ti ha indicato la tua strada?

«Semplicemente la voglia di suonare: sin da piccolo sentivo che la musica mi apparteneva e mi aiutava a trasmettere emozioni, ho capito subito che non si trattava di un mero capriccio. Mi sono reso conto di aver scelto la carriera più difficile, anche perché il confronto con un genio come mio padre era sempre dietro l'angolo, ma con il passare del tempo, lavorando e soprattutto studiando, ho acquisito una mia maturità. Ormai non sento più quel peso, realizzo i miei dischi con i miei arrangiamenti e sono appagato nel vedere tanta gente che viene ai miei concerti».

Ci racconti un episodio Off della tua carriera?

«Negli anni '80, ventenne, ero in tour con i Tempi Duri: poche fermate prima di varcare il confine con la Germania dell'Est, con il bassista Carlo Facchini comprammo una pistola ad acqua. Durante il controllo di un gendarme tedesco, eravamo tutti seri ma Carlo continuava a spruzzare acqua. Successe un casino, ci fecero scendere dal pullman e rischiammo di tardare al concerto».

«Per vedere il passato basta guardare le stelle: stenditi qui che ti insegno come fare» ti sussurrava tuo padre. A distanza di anni ti sei sdraiato da solo e hai scandagliato il passato. Cosa hai trovato?

«Quotidianamente, tutt'oggi, ogni sera mi sdraio e contemplo le stelle del cielo sardo. Ritrovo il mio passato con i miei genitori che non ci sono più, i bei momenti che purtroppo sono svaniti. Però non si tratta di una nostalgia dolorosa ma di un ricordo piacevole».

Terza edizione di De André canta De André. Il repertorio di tuo padre è inesauribile ma anche la tua creatività di polistrumentista. Cosa proponi in questo nuovo tour?

«In questo tour partito a marzo, do un mio vestito a dodici nuovi brani di mio padre, che saranno inseriti nel nuovo album live in uscita a Natale, affiancati ad altri contenuti nei due volumi precedenti di De André canta De André. È un progetto che porto avanti da tempo con la volontà di coinvolgere le nuove generazioni che per una questione anagrafica non conoscono mio padre, proponendo loro i suoi insegnamenti attraverso una rivisitazione delle sue poesie con sonorità world, più rockeggianti».

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Senhit: «Mi sento come Ulisse»

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Nel nuovo album la cantante di origini eritree duetta con Marracash

Angela Lonardo

Con un tour che l'ha portata in mezza Europa, Senhit ha lanciato Hey Buddy, il suo nuovo album (in uscita il 30 giugno). «Buddy è sia il nome del mio cagnolino sia un'esclamazione che fa parte dello slang americano» spiega riguardo al titolo. Interamente in inglese e con un sound electro-pop, il disco è prodotto tra gli altri da Brian Higgins (lo stesso di Kylie Minogue) e scritto dalla stessa cantante con Steve Daly & Jon Keep (autori di Paul McCartney, Christina Aguilera). La vera curiosità, però, è che a produrre l'album è anche la casa editrice Panini, che ha investito sulla ragazza come sulle figurine dei calciatori. Sei i brani della tracklist, tra cui Living for the weekend, duetto dance con il rapper Marracash. «Ma non mancano sonorità etniche» precisa la più cosmopolita delle artiste italiane, nata a Bologna da genitori eritrei. «Mia madre ha portato in Italia la vitalità africana, in casa canticchiava sempre. Lei mi spronava ad una carriera artistica a differenza di mio padre, che voleva una figlia laureata». E invece la svolta arriva partecipando al Karaoke di Fiorello. Poi il debutto nel musical nel 2001 con Il grande campione, regia di Giuseppe Patroni Griffi con Massimo Ranieri («Lo considero il mio pigmalione, severo e pignolo mi ha fatto fare una bella gavetta»).

Dopo i palchi internazionali con titoli come Il Re Leone e Rent, il salto nella musica pop grazie a Gaetano Curreri, che produce il suo primo album e le fa aprire i concerti degli Stadio. Giramondo per indole («Sono come Ulisse, mi piace viaggiare per poi tornare a casa»), Senhit quest'estate girerà la penisola con il torneo «Giochi del Calcio di Strada», organizzato dalla famosa pagina Facebook Calciatori Brutti, e con il Festival Show.

Michelle Hunziker: bikini perfetto a Varigotti

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Fonte foto: 
Instagram, LaPresse
Michelle Hunziker: bikini perfetto a Varigotti 2
Sezione: 

Michelle Hunziker si gode la spiaggia di Varigotti, sfoggiando un bikini davvero hot: ecco le immagini

Michelle Hunziker vanta una forma fisica perfetta: la conduttrice pubblica via Instagram una clip dove appare bellissima in bikini e super atletica. Dopo un tuffo rigenerante nel mare di Varigotti, Michelle Hunziker spicca un salto di gioia, evidenziando una tonicità senza pari.

Bianca Atzei torna a cantare: "La musica dà forza"

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La Atzei è tornata ad esibirsi a Napoli e ha parlato dell'incidente di Max: "Sta migliorando. Ci tenevo a ringraziare tutte le persone che lo seguono"

Bianca Atzei torna a dare informazioni delle condizioni di salute di Max Biaggi. La cantante è tornata ad esibirsi a Napoli e ha parlato dell'incidente di Max: "Sta migliorando. Ci tenevo a ringraziare tutte le persone che lo seguono, gli danno tanta forza e tanto calore e ne danno anche a me. In questo momento ci sta guardando". Insomma la Atzei ha ritrovato un pizzico di serenità e il suo ritorno in pubblico testimonia come le condizioni del pilota, seppur lentamente, stiano migliorando. Ed è stata lei stessa a comunicare ai suoi fan l'idea di vole tornare sul palco con un messaggio su Instagram: "Stasera dopo i diversi impegni annullati per i motivi che sapete tornerò sul palco per l'evento del Pizza Village di Napoli. Capiterà ogni tanto di allontanarmi per riprendere il mio lavoro ma anche perché cantare mi dà gioia e so che anche Max è felice per me e sarà con l'iPad davanti per guardarmi e seguirmi su Rtl102.5. E poi torno da lui per continuare ad accudirlo. Ormai sono una crocerossina. Attendiamo con ansia i miglioramenti anche se rimane ancora per il momento ancora in terapia intensiva. Credo che la musica e il canto siano una potente medicina e possono migliorare il suo stato d'animo ma anche il mio".

Il film del weekend: "Transformers 5 - L'ultimo cavaliere"

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Trama inutilmente complessa, ritmo frammentario e gigantismo ipercinetico per la durata eccessiva di due ore e mezza. Per veri fan del genere

Michael Bay e Mark Wahlberg, rispettivamente il regista e il protagonista di "Transformers - L'ultimo cavaliere", hanno promesso che questo sarà l'ultimo capitolo della saga dei robottoni Hasbro cui parteciperanno. Quanto la loro assenza inciderà sul seguito di un ciclo di cui sono appena stati annunciati altri tre film, non lo sappiamo. Intanto, riguardo al blockbuster di congedo, costato duecento milioni di dollari, una cosa è certa: Bay ha dato fondo come non mai al gigantismo cacofonico e ipertrofico che già si era fatto vivo nelle sue opere precedenti.
L'incipit di "Transformers - L'ultimo cavaliere"è ambientato nell'Inghilterra dei Secoli Bui, in cui scopriamo che le sorti di Re Artù sono segnate dalla complicità tra Merlino e un Transformer. Milleseicento anni più tardi, ritrovare un'arma nascosta dal mago diverrà di vitale importanza per il salvataggio del pianeta Terra. Incaricati del ritrovamento saranno Cade Yeager (Mark Wahlberg), la professoressa Vivian Wembley (Laura Haddock) e l'anziano sir Edmund Burton (Anthony Hopkins). La trama è in verità molto più complessa e vede anche Optimus Prime succube di una specie di divinità, Quintessa, e i Transformers cacciati da una nuova forza militare, la TFR.
In due ore e mezzo di girato si è preda di una digressione centrale che sembra firmata da Dan Brown (l'autore del "Codice da Vinci"), si riscrive la disfatta nazista, si viaggia in sottomarino sotto l'oceano, si passa da Cuba a Stonehenge, alla Namibia, alla vecchia Inghilterra, in un battito di ciglia. I miti arturiani sono solo l'inizio, poi la vicenda si fa inutilmente surreale, riempiendosi di microtrame e di personaggi troppo numerosi, tra vecchi e nuovi, spesso abbandonati senza motivo per metà film.
L'impiego non ufficiale di oltre una dozzina di sceneggiatori ha generato una versione dopata dei capitoli precedenti della saga.
L'idea di mischiare storia dell'umanità e mitologia dei Transformer aveva delle potenzialità ma la sovrabbondanza caotica di materiale e il ritmo frammentato rendono il risultato schizofrenico. Il minutaggio eccessivo e ingiustificato, poi, dà il colpo di grazia.
A livello di spettacolarità, l'opera è poderosa, essendo un trionfo d'effetti speciali di prim'ordine, ma l'accuratezza tecnica delle azioni cinetiche non salva le coreografie fracassone dalla ripetitività e, infine, il roboante surplus d'impulsi visivi e uditivi è disorientante.
Il franchise, al quinto film in dieci anni, a giudicare dalle forzature presenti in "Transformers - L'ultimo cavaliere", appare saturo. Se lo sia anche la voglia dei fan di vedere i robottoni in azione lo scopriremo al box-office.

Caso Fazio, M5S all'attacco: "Ha il portafoglio a destra"

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Fico (Vigilanza Rai) punta il dito: "Ora gli aumentano lo stipendio e lui non vuole più scappare da viale Mazzini"

"È uno scandalo perché come si era preventivato di toccare il portafogli al grande comunista Fabio Fazio subito voleva scappare in un'altra tv come La7. Ora che arrivato il suo compare Orfeo viene spostato a Rai 1, gli aumentano lo stipendio e non vuole più scappare alla Rai. A me sembra veramente un comportamento vergognoso". Così Roberto Fico, presidente della Vigilanza Rai, commenta il rinnovo del contratto del conduttore. Insomma il rinnovo di contratto di Fazio fa discutere e accende la guerra in viale Mazzini e nel mondo politico. Fico ribadisce: "Quello di Fabio Fazio è un "comportamento vergognoso". "È uno scandalo", aggiunge, perchè quando si parlava di "toccare il portafogli del grande comunista Fabio Fazio voleva fuggire. Ora c'è il ritocco nell'assegno e vuol restare in Rai". E sulla polemica è intervenuto anche Gianni Sammarco di Alternativa Popolare: "Il Parlamento fissa il tetto dei compensi Rai a 240mila euro e il Cda del servizio pubblico ignora la normativa approvando un compenso da 2,2 milioni di euro l’anno, per 4 anni, a Fabio Fazio. Stesso compenso del passato, ma con molte ore di trasmissione in meno e con, in più, una ’promozionè del suo programma che passerà su Rai1". E ancora: "Si sperava che la Rai volesse far seguire i fatti ai buoni propositi e che il cda evitasse di prendere in giro gli italiani facendo seguito ad un percorso virtuoso deciso dal Parlamento e che finalmente potesse intraprendere la strada della riduzione dei compensi richiesta dal Parlamento, ma si sta invece decidendo di ignorare tutte le indicazioni, alla faccia del ruolo dei parlamentari eletti dal popolo e degli stessi cittadini che stanno ancora affrontando lo strascico della crisi economica degli ultimi anni". In caso Fazio dunque resta aperto e l'aumento di stipendio farà discutere ancora.

Nazzaro: "Sostituita in Rai da Adriana Volpe"

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Manila Nazzaro dovrà dire addio a Mezzogiorno in famiglia. La conduttrice dovrà cedere il posto, secondo le ultime indiscrezioni, ad Adriana Volpe

Manila Nazzaro dovrà dire addio a Mezzogiorno in famiglia. La conduttrice dovrà cedere il posto, secondo le ultime indiscrezioni, ad Adriana Volpe in uscita da I Fatti Vostri dopo le polemiche con Giancarlo Magalli. "In questi giorni si è scritto molto su di me facendomi passare, spesso, per raccomandata. Si dice che mi sarebbe stata affidata la conduzione de I fatti vostri al posto di Adriana Volpe. E' arrivato il momento di fare chiarezza. In questo momento, nonostante un anno lavorativo bellissimo, non sono stata ricollocata e un'altra persona ha preso il mio posto. Sono fiduciosa e voglio sperare che dipenda solo dal fatto che è appena stato nominato il nuovo direttore generale", ha affermato in un'intervisa a Oggi.

La Nazzaro si sente"vittima di un'ingiustizia". Poi fa un'accusa precisa a viale Mazzini: "Vorrei essere tutelata nello stesso modo in cui è stata tutelata Adriana Volpe. Io da donna mi sono schierata subito dalla sua parte quando è stata 'maltrattata' da Giancarlo Magalli. Non deve mai passare il messaggio che una donna lavora grazie ad aiuti e favori maschili. Il problema non è che lei sia stata spostata e che abbia preso il mio posto a Mezzogiorno in famiglia, se lo merita. E' una donna intelligente e capace. Ma non devo pagarne le conseguenze io". Infine a Vero afferma: "Ho perso il lavoro e il marito, ma con i miei figli ho ritrovato la forza per andare avanti".


Paola Ferrari: "Ho paura per i miei figli"

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Paola Ferrari si racconta e parla della sua vita privata, della sua vita da "mamma": "Vivo nella paura per Alessandro e Virginia"

Paola Ferrari si racconta in un'intervista al settimanale Vero. Ma questa volta parla della sua vita privata, della sua vita da "mamma" e delle apprensioni per i suoi figli. La conduttrice di 90° minuto si gode un po' di relax dopo la fine del campionato ma ha sempre un pensiero per i suoi figli che vivono a Londra. Dopo gli attentati e il rogo alla Grenfell Tower, la Ferrari ha sottolineato come da tempo vive nella paura perché possa accadere qualcosa ai suoi ragazzi: "Sono una mamma spventata in questo periodo. Alessandro e Virginia da un anno vivono a Londra. In questo momento storico così particolare, noi genitori abbiamo ulteriori motivi fi preoccupazione rispetto a quelli che avevano le vecchie generazioni". Ma non vuole che tornino a casa: "Tornare in Italia, mai. Sono convinta che il nostro Paese può dare pochissimo ai giovani. I nostri figli devono sentirsi cittadini del mondo e avere una mentalità, una preparazione e una cultura di tipo internazionale. Cosniglio a tutti i genitori che ne hanno la possibilità di far fare ai loro figli esperienze di studio all'estero". Infine a Vero rivela qualche raccomandazione da "mamma" che ha fatto ai suoi figli: "Già dopo la strage del Bataclan di Parigi, mi sono confrontata con loro sull'argomento. Purtroppo, la realtà è che arriveremo tutti a vivere in una condizione di perenne allerta come succede in Israele. Gli dico di mantenere i nervi saldi perché può salvare la vita".

Primeteatro

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Il sogno ha una sua legge? E questa legge ha un fondamento preciso che ci riconduce dopo il delirio notturno all'inesorabile realtà dei fatti? È un quesito che ci tormenta ma che continua a svolgere il percorso sinuoso della poesia e a volte, come accade nel Sogno di Shakespeare, a spingerci oltre la soglia del mondo in cui viviamo. Così nello spettacolo, affascinante come un viaggio simbolico oltre i confini del reale, di Walter Le Moli, noi spettatori viviamo sia nella musica delle parole che nel turbine della musica di Mendelssohn. Così le due barriere si fondono e si esaltano travalicando l'una nell'altra e sulla scena vediamo, come in un quadro di Bosch, il realismo degli artigiani percorrere il proprio tragitto accanto agli elfi e alle fate dei boschi coi loro colori chiassosi che surrogano la realtà. Come accade nella mirabile invenzione di Piramo e Tisbe che tanto più tardi destò l'attenzione di Henry James. Prima di confluire nell'immaginario metafisico che troviamo nell'alto dei cieli in uno spettacolo di affascinante confronto tra la parola incalzante e la festosa collezione delle immagini evocate dalla musica. Immagini che nella musica trovano il magico equilibrio di una rappresentazione esemplare che si riassume nell'interrogativo di sempre: il sogno è la realtà della vita? Nella magistrale versione di Luca Fontana il cast si muove con grazia e stupefacente vis comica. Basti ricordare Emanuele Vezzoli, Gigi Dall'Aglio, Nanni Tormen, Paola De Crescenzo e lo stupefacente Puck di Luca Nucera. Successo strepitoso.

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE Parma, Arena Shakespeare Fondazione Teatro Due.

Piero Angela: "Se fosse stato per me mio figlio oggi non sarebbe alla Rai"

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Piero Angela si racconta in una intervista al settimanale Nuovo. Per la prima volta il conduttore di SuperQuark parla del figlio Alberto e fa una rivelazione curiosa

Piero Angela si racconta in una intervista al settimanale Nuovo. Per la prima volta il conduttore di SuperQuark parla del figlio Alberto e fa una rivelazione curiosa: "Se fosse stato per me, mio figlio Alberto oggi non sarebbe alla Rai". Piero Angela spiega infatti come il figlio sia arrivato in viale Mazzini: "Quando cominciai il programma Superquark c'era un giovane in particolare che mi sarebbe piaciuto avere nel mio staff". E aggiunge: "Aveva realizzato Albatros, per la televisione svizzera e aveva un curriculum di tutto rispetto. C'era solo un problema: era Alberto, mio figlio". Da qui parte il racconto dell'ingresso in Rai di Alberto angela: "Se fosse venuto a lavorare con me avrebbero aperto il tiro al piccione contro di lui e contro di me. Come si poteva fare? Mi venne incontro il vicedirettore di Raiuno, Andrea Melodia, facendomi notare che mio figlio collaborava con varie reti televisive e quindi, da libero professionista, avrebbe potuto lavorare anche con me. Insomma non ci fu alcuna assunzione e Alberto collaborò a Superquark solo perché era bravo: ci conveniva usarlo".

"Vi raccontiamo i misteri della capitale inglese. Da Jack lo squartatore alla piaga del terrorismo"

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Il direttore di Videonews anticipa la nuova serie di Top Secret da domani su Canale 5

Giornalista, saggista, conduttore. Per dirigere una testata di informazione come Videonews, serve una lungimiranza attenta al rinnovamento del linguaggio. Claudio Brachino porta avanti l'impresa da dieci anni con successo perché ha un'attitudine manageriale (ma creativa) non comune. Il suo Top Secret, che va avanti da 15 anni, sta per tornare in onda lunedì 26 giugno, per sei puntate. Un programma che ha avuto varie vite. Dal 2015 è approdato in seconda serata su Canale 5, con un taglio giornalistico sempre più internazionale. «Un prodotto che è un classico di inchiesta, ma diverso dalle altre seconde serate di Canale 5. La prima puntata è dedicata alla città di Londra, avremo ospite il giornalista Antonio Caprarica. Parleremo del nuovo volto di questa capitale, dall'epoca vittoriana ai giorni nostri, segnati dal terrorismo».

Ci racconti nel dettaglio cosa vedremo lunedì.

«Descriveremo i misteri di Londra dalle sue origini, una città che a fine Ottocento ci ha fatto conoscere Jack lo Squartatore nel suo cuore popolare, il West End. Siamo poi stati in un cimitero della zona in cui sono sepolte prostitute dal Medio Evo, accanto a London Bridge, il cimitero delle ossa interdette. Ma soprattutto, avremo un importante scoop su Lady D».

Quale?

«Per la prima volta parlerà alla tv italiana Pascal Rostain, giornalista paparazzo, uno degli autori di Chi ha ucciso Lady D?, che ha lavorato per dodici anni sull'incidente di Diana. A vent'anni dalla morte, la sua tesi sostiene che la Mercedes su cui viaggiava Diana fosse da rottamare per via di un grave incidente precedente, ma poi sarebbe stata rubata, risistemata e finita nelle mani di un'agenzia che l'ha fornita al Ritz Hotel. Uno schiaffo per tutti i complottisti. Se fosse vero, la responsabilità morale e materiale ricadrebbe su Mohamed Al Fayed, padre di Dodi, proprietario dell'hotel. In ballo ci sono risarcimenti milionari da parte delle assicurazioni. Uno stupido incidente dovuto a un'auto che non funzionava bene, insomma. Resta da capire perché una macchina rotta sia finita in servizio a Diana. Una storia infinita, volendo...»

Suggestivo. Di cos'altro parlerà la prima puntata su Londra?

«Della casata dei Windsor, attraverso la figura di Diana. E poi di terrorismo, ma non dal punto di vista politico. Siamo andati davanti al Borough Market, il giorno dell'incendio alla Grenfell Tower. Riapriva dopo l'attentato del 3 giugno ed era pieno di gente, segno di una città che vuole continuare a vivere. Ho iniziato la puntata sul ponte di Westminster dove ora, dopo l'attentato di marzo, ci sono delle paratie in acciaio inossidabile, che servono a difendere i pedoni. Il terrorismo è ormai presente esteticamente e filosoficamente nel nostro mondo».

Nelle altre puntate, cosa vedremo?

«Nella seconda faremo un viaggio nella mente criminale dei serial killer con Massimo Picozzi. Nella quarta parleremo, sempre con Picozzi, di mass murderer, gli assassini di massa, da Manchester al caso del norvegese Anders Breivik, alla Columbine School. Nella terza faremo luce sui lati oscuri delle morti celebri: da George Michael a Whitney Houston, Michael Jackson, Kurt Cobain, Gianni Versace e Luigi Tenco».

E poi?

Nella quinta, in occasione dei cent'anni di Fatima, in studio ci sarà Paolo Brosio fervente sostenitore di Medjugorie, avremo documenti inediti. Nella sesta parleremo di che fine abbia atto l'eredità di Dan Brown e del suo Codice da Vinci».

Federico Zampaglione: "Che sofferenza l'addio alla Gerini"

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Federico Zampaglione parla della fine della sua storia con Claudia Gerini e racconta il suo dolore per la separazione

Federico Zampaglione parla della fine della sua storia con Claudia Gerini in una intervista al settimanale Diva e donna. Il cantante racconta il suo dolore per la separazione e lo fa senza giri di parole: "Non parlo volentieri del privato. Una storia d'amore bella e importante, durata undici anni, quando finisce lascia grande sofferenza e inquietudine in entrambi. Abbiamo la fortuna di avere mantenuto l'affetto, l'amicizia e la condivisione dell'educazione di Linda, nostra figlia". E la sua attuale compagna, l'attrice Giglia Marra in un'intervista a Vanity Fair parla del suo rapporto con la Gerini: "Non l'ho ancora incontrata. La bambina sì invece: splendida". Poi svela il modo in cui si sono conosciuti con Zampaglione: "Non durante un concerto come le voci vanno raccontando. E' successo in un locale, l’inverno scorso. Una mia amica l’ha visto, e, sua fan, mi ha chiesto di scattarle una foto insieme. Così feci. Ci siamo scambiati i numeri e abbiamo iniziato a scriverci. Ci tengo a dire che la sua storia con Claudia era già finita. Non avevano ancora reso pubblica la separazione, ma si erano lasciati".

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