Quantcast
Channel: Il Giornale - Spettacoli
Viewing all 39554 articles
Browse latest View live

Abito sexy per Emma Marrone alla sfilata di Ferragamo

$
0
0
Fonte foto: 
LaPresse
Abito sexy per Emma Marrone alla sfilata di Ferragamo 1
Sezione: 

Vip alla sfilata di Ferragamo a Milano. Emma Marrone sfoggia un abito sexy che lascia intravedere le proprie forme


"Reazione a catena", Caffeine insultate: rispondono sui social

$
0
0

L'eliminazione dei Tre di denari da Reazione a Catena fa ancora discutere. E questa volta a lanciare la polemica sono le tre ragazze "Le Caffeine"

L'eliminazione dei Tre di denari da Reazione a Catena fa ancora discutere. E questa volta a lanciare la polemica sono le tre ragazze "Le Caffeine" che hanno eliminato i camipioni in carica. Dopo l'eliminazione dei tre ragazzi, le nuove campionesse sono state nsulatte sui social con commenti poco nobili come ad esempio "oche, sgualdrine". Offese gratuite a cui Le Caffeine hanno risposto su Facebook: "Sapevamo benissimo che battere i super campioni ci avrebbe portato ad essere prese di mira dai loro numerosissimi fans, ma non potevamo immaginare che la cattiveria delle persone potesse arrivare fino a certi livelli. (…) E, per favore, non appellatevi al vostro diritto di parola, perché non c’è niente che possa legittimare offese pesanti e gratuite verso ragazze che non conoscete, e che oltretutto potrebbero essere vostre figlie o nipoti. Fortunatamente siamo circondate da tantissime persone che ci vogliono bene, ci sostengono e ci apprezzano come siamo, e abbiamo avuto la capacità di lasciarci scivolare addosso i vostri insulti. Purtroppo, però, ci sono ragazzi e ragazze che non reagiscono allo stesso modo, e che soffrono per le vostre offese gratuite. Poi vi meravigliate quando qualcuno compie gesti estremi perché vittima di cyberbullismo; a questo punto, prima di pubblicare insulti gratuiti, provate a pensare alle ripercussioni che le vostre parole potrebbero avere sugli altri". E ancora: "Ovviamente non è il primo caso in cui i fan sfegatati di una squadra rivolgono critiche e insulti pesanti nei confronti degli avversari. Abbiamo ricevuto diversi messaggi da ex concorrenti di Reazione a catena che ci hanno offerto il loro sostegno e che ci hanno detto di avere ricevuto il nostro stesso trattamento, anche solo per avere “osato” sfidare i campioni. Pensateci due volte prima di scrivere cattiverie dietro a uno schermo e, soprattutto, riflettete sul fatto che insultare gli altri non rende migliori né voi, né le persone che sostenete".

Da Insinna a Fazio: tutti i compensi Rai

$
0
0

Dopo le polemiche per il rinnovo di contratto con aumento di Fabio Fazio, occhi puntati sui compensi Rai per i big del servizio pubblico

Dopo le polemiche per il rinnovo di contratto con aumento di Fabio Fazio, occhi puntati sui compensi Rai per i big del servizio pubblico. Di fatto Fazio non è l'unico che ha uno stipendio abbastanza elevato. Il conduttore di Che tempo che fa è in buona compagnia. Certo in pochissimi, quasi nessuno, arriva alle cifre astronomiche del "comunista col portafoglio a destra", come l'ha definito il grillino Roberto Fico. Ad esempio, secondo quanto riporta il Messaggero Carlo Conti guadagna 2 milioni euro. Un milione e mezzo invece andrebbe ad Antonella Clerici. Per Flavio Insinna invece c'è un milione e trecentomila euro. Stessa cifra per Bruno vespa. 1.200.000 invece vanno a Michele Guardì, autore de I Fatti Vostri. Amadeus, storico conduttore Rai incasserebbe 900.000 euro. 800.000 euro invece sarebbe l'assegno percepito da Luciana Littizzetto. Massimo Giletti invece si fermerebbe a 500.000 euro. Appena 400.000 euro per Alberto Angela che si trova in compagnia, con la stessa cifra, con Milly Carlucci e Giancarlo Magalli.

Giuliana De Sio e i retroscena sulla sua carriera

$
0
0

L'attrice racconta alcuni retroscena della sua carriera e parla anche dei colleghi che ha conosciuto sul set

Giuliana De Sio si racconta in una intervista al Fatto Quotidiano. L'attrice racconta alcuni retroscena della sua carriera e parla anche dei colleghi che ha conosciuto sul set. La De Sio ha lavorato anche con Alberto Sordi: "Noioso come tutti i comici, pure reazionario, oltre al suo celebre maschilismo. Per lui era fondamentale stare a tavola". Poi parla anche di Alessandro Haber: "Mi portava in giro a caccia di registi, li ossessionava per ottenere una parte: io mi vergognavo e ci picchiavamo". Una carriera tra "botte, baci, lutti, successi e lacrime". Poi parla di Marcello Mastroianni: "Il mio primo uomo baciato sullo schermo". La De Sio descrive la scena: "Un piano sequenza lunghissimo, di un quarto d'ora per una scena d'amore tra me e lui; un momento chiave provato per quattro giorni". "Abbiamo girato. Ma quando con il piano sequenza sbagli una virgola, va ripetuto tutto. Risultato: ci siamo baciati una settimana intera, e che baci! Marcello - sottolinea - metteva la lingua, mica si tirava indietro!".

Il «Ratto» di Strehler e Mehta è ancora insuperato

$
0
0

Vent'anni dopo la morte di Giorgio Strehler, il Teatro alla Scala ha molto opportunamente riproposto la sua messa in scena del Ratto dal serraglio di Mozart (scene e costumi di Luciano Damiani). Uno spettacolo che ha sorpassato i 50 anni ed è ancora di una freschezza esemplare (merito anche della ripresa curata perfettamente da Mattia Testi). Aveva ragione Fedele d'Amico: è superfluo insistere nei confronti fra cantanti di questa o quella edizione, anche perché il primo Belmonte era la luce tenorile in persona, l'insostituibile Fritz Wunderlich. «Il miracolo di questo Ratto non va ricercato nelle virtù autoctone di questo o quel cantante (in quest'edizione scintillavano le donne, Lennecke Ruiten e Sabine Devielhe piuttosto che i simpatici tenori «bietoloni» Mauro Peter e Maximilian Schmitt), ma nella regìa, capace di trascinare irresistibilmente ognuno di loro, battuta per battuta, alla scoperta dell'accento musicale pertinente. () Strehler inventa Mozart per tutta una serata, ma quel che inventa, è appunto Mozart, il quale nelle sue invenzioni si sarebbe riconosciuto senza fallo». Sempre sublime il gioco di luce creato dalla zona d'ombra in cui i personaggi diventano silhouettes, «a segnalare le échappées della musica verso la fantasia». Sotto la guida nobile di Zubin Mehta (era lui sul podio a Salisburgo mezzo secolo fa), la regìa storica di Strehler è sembrata così perfetta da meritare una riduzione a manuale, studio propedeutico (e necessario) per i tanti che pensano con un trasloco di tempo di aver inventato il teatro di regìa.

Incidente Diele, il testimone: "Vi racconto come è andata"

$
0
0

L'arresto di Domenico Diele per aver travolto e ucciso una donna mentre era alla guida senza patente fa ancora discutere

L'arresto di Domenico Diele per aver travolto e ucciso una donna mentre era alla guida senza patente e sotto l'effetto di stupefacenti ha scosso il mondo dello spettacolo. E adesso su quella serata maledetta per Diele emergono nuovi particolari svelati da Ferdinando Giordano, ex Gf che per primo si è trovato sul luogo dell'incidente: "Diele si disperava e urlava, incredulo per quello che aveva fatto". L'ex gieffino racconta come l'attore ha reagito subito dopo l'incidente: "Mi sono reso conto all'ultimo momento - racconta all'Ansa l'ex gieffino salernitano, noto al pubblico televisivo - che sull'asfalto c'era una persona. Quel tratto di strada non è ben illuminato e la signora era tutta vestita di nero, difficile vederla. Si scorgevano solo le mani e i piedi. Ho frenato bruscamente e ho accostato l'auto. Il mio primo pensiero è stato quello di evitare che le macchine la potessero investire e così segnalavo il pericolo aiutandomi con la torcia del cellulare. Non ho avuto subito il tempo di capire se fosse viva o meno. Dovevo proteggerla dalle auto in corsa. Intanto, sulla carreggiata, c'era questo ragazzo, Domenico, che urlava e si disperava. Non ho riconosciuto chi fosse, in quei momenti pensi ad altro. Vedevo solo che piangeva e diceva quasi tra sé e sé: 'Cosa ho fatto, ho fatto una cazzata'".

Poi, aggiunge ancora Giordano "a me sembrava disperato, diceva qualcosa, pare che si fosse distratto per colpa del cellulare. Dopo pochi minuti è arrivata la Polizia stradale di Eboli che si è attivata immediatamente. Non so se gli agenti fossero stati allertati da qualcuno o se si trovassero a passare di lì. In ogni caso, da quel momento in poi, Diele non ha detto più una parola. Mi sembrava come se fosse non solo sotto choc ma che si stesse iniziando a rendere conto di quello che era realmente accaduto". Poi l'attore è stato portato in ospedale per gli accertamenti e lì è emersa la sua positività a cannabinoidi e oppiacei. "Non era evidente - sottolinea ancora Ferdinando Giordano - che il giovane fosse sotto effetto di sostanze stupefacenti, perché era già visibilmente sconvolto per la tragedia appena successa. Prima dell'arrivo degli agenti, che hanno bloccato subito la strada mettendo in sicurezza l'area, ho controllato il polso della signora, ma già non si sentiva più. In quel frangente di tempo, sono riuscito a far sviare almeno tre, quattro macchine che stavano passando a velocità sostenuta. Un'auto di sette posti, con a bordo alcune persone di rientro da un matrimonio, si è fermata e sono scesi due medici i quali hanno prestato i soccorsi prima dell'arrivo dell'ambulanza. Da un'idea che mi sono fatto io, credo che il ragazzo guidasse ad alta velocità. Lo scooter della donna è rimasto incastrato dal lato del conducente, quasi sulla corsia di sorpasso, mentre il parabrezza dell'Audi A3 era sfondato come se la donna fosse sbalzata sopra per poi ricadere sull'asfalto. Credo che, considerato l'urto, la signora sia morta quasi nell'immediato, forse non si è neanche resa conto di quello che le stava accadendo. Sono ancora sconvolto da quello che ho visto. Ho ancora nella testa le immagini di quanto accaduto".

Domenico Diele: "Sono un eroinomane Distratto dal cellulare"

$
0
0

Dopo il terribile incidente e la morte di una donna di 48enne adesso per Domenico Diele è arrivato il momento della disperazione in cella

Dopo il terribile incidente e la morte di una donna di 48enne adesso per Domenico Dieleè arrivato il momento della disperazione, il momento di chiedersi cosa è successo. E lo fa dal carcere dove è rinchiuso dopo quella terribile serata. Dall'istituto penitenziario confessa la sua dipendenza dagli stupefacenti e lo fa, come riporta il Corriere, senza usare giri di parole: "Sì, sono in crisi d’astinenza, ma è giusto così, è giusto che soffra". Poi l'attore stremato comuqnue dal dolore per quanto accaduto sottolinea la sua colpevolezza e non cerca scorciatoie: Urlerò la mia colpevolezza con tutte le forze. Non ho scuse, ho sbagliato e devo pagare. Devo pagare quello che decideranno i giudici e se servisse a qualcosa pagherei di tasca mia anche qualunque cosa alla famiglia. Però non sono un criminale. In televisione si parla di me come un assassino drogato: non è così", spiega. Poi però rivela quale è stata, a suo dire, la vera causa dell'incidente:"Io non sono uno che prima si è drogato e poi si è messo a guidare come un pazzo finendo per provocare una tragedia. Sono dipendente da eroina, questo sì, ma la droga non c’entra con l’incidente. Mi sono distratto con il cellulare. Ho un telefonino che funziona male, c’è un tasto che non va, e io per cercare di fare una telefonata ho abbassato gli occhi". Poi parla della cocaina e dei tes in ospedale: "Quella storia della coca, per esempio, è vecchia di un anno, nemmeno me ne ricordavo più, Mi sono pure sorpreso quando quella bustina è uscita fuori, stava nel portafogli da una vita. L’altra sera non avevo sniffato niente. Non avevo il permesso di guidare. Ma l’ho fatto perché mia cugina ci teneva ad avermi al suo matrimonio in Calabria, e l’unico modo per esserci era andare e tornare in macchina nella stessa giornata". Infine rivolge un pensiero al padre della vittima: "Vorrei incontrare il padre di quella donna, inginocchiarmi davanti a lui e ammettere le mie colpe. Ma anche provare a spiegargli che è stato un incidente e non un omicidio".

Silvia Provvedi, l'amore con Fabrizio Corona

$
0
0
Fonte foto: 
LaPresse, Instagram
Silvia Provvedi, l'amore con Fabrizio Corona 1
Sezione: 

Silvia Provvedi all'ultima udienza per Fabrizio Corona: un bacio appassionato ha suggellato l'incontro tra i due, innamorati in tribunale

Silvia Provvediè la fidanzata di Fabrizio Corona. Eccoli in alcune immagini dell'ultima udienza: lui sta per tornare in libertà, lei lo ha aspettato mentre era in carcere. Il loro amore è stato raccontato spesso su Instagram, tra tenerezza e intimità, prima che lui venisse arrestato.


Mentana e il siparietto con Celata: "Scena patetica"

$
0
0

Non è stata una "maratona" facile per Enrico Mentana su La7. La notte delle amministrative e dei ballottaggi infatti è stata accompagnata da qualche inconveniente tecnico soprattutto durante i collegamenti con l'inviato Paolo Celata a Genova. Mentana dà la linea a Celata che si trova nel capoluogo ligure in compagnia del neo-eletto sindaco, Marco Bucci. L'inviato però non riesce a sentire lo studio e le indicazioni e le domande di Mantana. Parla da solo come se non fosse in diretta. E a questo punto "mitraglietta" commenta: "Che scena patetica". E immediatamente la clip è stata ripresa da diversi profili social ed è diventata un vero e proprio tormentone sul web. Mentana, a risultati ormai definitivi si collega ancora con Celata: "Mi senti?". Ma ninete ancora un volta il collegamento fallisce: “È una scena patetica. Ma Celata è simbolo di queste cose”.

Fabrizio Corona sposerà presto Silvia Provvedi?

$
0
0

Potrebbero convolare presto a nozze Fabrizio Corona e Silvia Provvedi: la giovane attende con ansia la scarcerazione dell'amato

Nozze in vista per Fabrizio Corona? È quanto rivela Spy, nuovo settimanale ideato da Alfonso Signorini, che spiega come il fotografo sia deciso al matrimonio con la fidanzata Silvia Provvedi.

Le cose sembrano volgere al meglio per Corona. Sono cadute le accuse per i reati di intestazione fittizia dei beni e di violazione delle norme patrimoniali sulle misure di prevenzione, sebbene sia stato condannato a un anno per il denaro sottratto al fisco. Tuttavia, tra qualche giorno, dovrebbe essere scarcerato: il fotografo sarà di nuovo libero, anche se, per allontanarsi da Milano, dovrà chiedere un permesso.

Fuori ci sono molti progetti che lo attendono: un libro e un docufilm che parla della sua vita prima dell'ultimo arresto. Ma forse non sono le sue priorità: Spy sostiene, infatti, che Corona sposerà presto Provvedi, anzi i due sono già attivi nell'organizzazione del gran giorno. Intanto, pare che la giovane abbia un ottimo rapporto con la madre del fotografo, Gabriella Corona.

La storia d'amore tra il fotografo e la cantante è da favola. Spesso i due hanno raccontato in immagini il loro rapporto sui canali social, spalleggiati dai fan e contestati dagli hater. Scatti teneri e sexy i loro, che testimoniano quanto i due siano legati.

[[gallery 1413359]]

Nicki Minaj, seno in mostra per i 4 milioni di dischi

$
0
0
Fonte foto: 
Reuters, LaPresse, Instagram
Nicki Minaj, seno in mostra per i 4 milioni di dischi 1
Sezione: 

Nicki Minaj festeggia gli ultimi traguardi artistici, pubblicando una foto hot su Instagram: eccola mentre mostra la scollatura ai fan

Nicki Minajè diventata la donna rapper più premiata della storia. Inoltre, ha saputo che quest'anno i suoi dischi sono stati venduti in 325.000 copie, per un totale di 4 milioni dall'inizio della sua carriera. L'artista ha pensato di celebrare il momento su Instagram, parlando dei suoi traguardi a corredo di un'immagine che mostra, in primo piano, il suo generoso seno.

Robert Pattinson si confessa: "Per il mio ultimo film ho vissuto solo in uno scantinato per due mesi"

$
0
0

Robert Pattinson è stato apprezzato dai critici per il suo ultimo film Good Time e ha dichiarato che per interpretare bene la parte ha vissuto isolato per due mesi in un seminterrato

Sono passati molti anni da quando Robert Pattinson ha recitato nei panni del vampiro Edward Cullen. Molti film e il gossip per la storia d'amore finita con la collega Kristen Stewart.

Oggi l'attore si racconta e, come riporta Io Donna, ha lasciato Los Angeles e si è trasferito nuovamente a Londra. Ha rifiutato diverse offerte di film commerciali e ora, con il film Good Time, ha conquistato anche i critici.

Proprio per questo film Pattinson ha deciso di vivere per un paio di mesi isolato per creare il suo personaggio: "Vivevo solo in un seminterrato di Harlem per tutta la lavorazione, senza mai aprire le tende, né cambiare le lenzuola – dormivo vestito. C’era una donna che viveva al piano di sopra e cercava di capire cosa stesse succedendo (ride). Pensava fossi un caso patologico, arrivavo e partivo alle ore più strane, e vivevo in assoluta clausura: ero il fricchettone che viveva nel suo seminterrato. Nessuno l’ha riconosciuta? No, non uscivo mai, neanche per cena. Ho mangiato tonno in scatola per due mesi, chissà che tasso di mercurio ho nel sangue ora! Andavo avanti esclusivamente a tonno, salsa piccante, e capsule di Nespresso", ha raccontato.

Ma grazie alla sua interpretazione nel film i critici a Cannes hanno dichiarato che Pattinson è diventato un vero e proprio attore dopo essere stato per anni l'idolo delle ragazzine. Lui stesso dice che negli ultimi anni la popolaritàè cambiata radicalmente: "Vivo a Londra e lì non è un problema. Anche a Los Angeles non ci sono più i paparazzi ovunque come un tempo: è la gente a fare le foto e a piazzarle su Instagram. I giornali di gossip vendono molto meno, tutti vanno su internet, e quando non gira più il denaro, finisce la storia. È stupendo, a pensarci bene! Lei ha scelto negli ultimi anni dei progetti a rischio".

Stefano Bettarini presenta la nuova fiamma: ecco Nicoletta Larini

$
0
0

Dopo settimane di corteggiamento e foto rubate, Stefano Bettarini e la fashion blogger sono usciti allo scoperto. E ora si concedono un po' di relax

Stefano Bettarini ha archiviato definitivamente la storia con l'ex naufraga dell'Isola dei Famosi Dayane Mello e ora pare godersi la dolce compagnia di una fashion blogger di Viareggio.

Sono settimane che Stefano Bettarini manda segnali sui social ai suoi fan. Foto, video e dichiarazioni d'amore. Tutti per la sua Nicoletta Larini, una fashion blogger di Viareggio che pare avergli rubato il cuore. Nicoletta è conosciuta in rete e sui social vanta migliaia di follower in tutto il mondo.

Dopo settimane di corteggiamento e foto rubate, Bettarini ha pubblicato alcuni scatti con la sua nuova fiamma. L'ex calciatore e la fashion blogger sono molto intimi, anche se Stefano continua a proclamarsi single. Intanto i due si concedono un po' di meritato relax e tra una foto e l'altra potrebbe (se non è già successo) scattare l'amore.

Sui social i fan dell'ex calciatore commentano entusiasti i suoi scatti e si augurano che Nicoletta sia la donna giusta.

Emily Ratajkowski e la sua estate bollente in Italia

Dalla Toscana alla Campania, le vacanze bollenti di Emily Ratajkowski

$
0
0

Emily Ratajkowski si trova in vacanza con il fidanzato Jeff Magid. Insieme stanno girando l'Italia e la super modella incanta tutti con la sua bellezza

Proseguono le lunghe vacanze italiane di Emily Ratajkowski, dopo la Toscana e le Cinque Terre, è arrivato il momento di Positano.

La super modella si gode le vacanze italiane con il fidanzato Jeff Magid. E tra cocktail, divertimento e spiagge bellissime, Emily Ratajkowski pubblica sui social le sue foto in versione turista. La top model si mostra in tutta la sua bellezza e con le sue curve perfette incanta i passanti e tutti i suoi follower sui social.

Durante la sua permanenza alle Cinque Terre, Emily Ratajkowski ha presentato per la prima volta il suo fidanzato al pubblico italiano. L'uomo che le ha rubato il cuore è il produttore musicale Jeff Magid. Negli Usa, di loro si racconta di una coppia "frizzante" che ama tenersi sempre per mano e che non si perde d'occhio un attimo. "Jeff è uno di quei fidanzati devoti e fedeli - scrivono i tabloid statunitensi -. È pazzo di lei e il suo account Instagram, spesso più dedicato al tempo speso con lei che ai suoi affari personali, lo dimostra".

Così, dopo la Toscana, le Cinque Terre, è arrivato il momento per Emily di andare ad ammaliare con la sua bellezza la Campania. (Guarda la foto)

[[gallery 1413496]]


Box Office

$
0
0

Finalmente, una buona notizia. L'ultimo fine settimana di giugno su grande schermo va in controtendenza, collezionando una serie di segni positivi. Il merito è di Transformers 5, intitolato L'ultimo cavaliere, che con il suo incasso di 1.818.807 euro ha permesso al box office di registrare un +24% rispetto a sette giorni fa e, soprattutto, un +24,6 confrontato con il dato dello scorso anno. Del resto, il film, pur nella sua struttura fantastica, è piacevole, intrattiene, dà il massimo in IMAX. Tutte rose? Piano e adagio. Se è vero che il quinto capitolo della saga dei robottoni Hasbro ha vinto agevolmente la sfida del weekend elettorale, bisogna anche sottolineare come il confronto con i precedenti episodi, lo veda uscire, al momento, sconfitto. Transformers 3 aveva ottenuto 3.047.648 euro, dal giovedì alla domenica, mentre il successivo Transformers: L'era dell'estinzione, del 2014, esordì, nei primi quattro giorni, con poco più di 2,9 milioni euro. Accontentiamoci, però, visto che per trovare la seconda miglior uscita, come incassi, della scorsa settimana, bisogna scendere fino in quinta posizione, occupata dal noiosissimo Civiltà perduta (195.905 euro), talmente lento che l'originale The Lost City of Z dovrebbe essere ribattezzato The Lost City of Zzzz per sottolineare il probabile sonno degli spettatori. Un vero peccato, invece, che il gradevole Parliamo delle mie donne, film biografico firmato da Claude Lelouch (ed interpretato da Johnny Halliday), abbia chiuso la sua prima corsa solo al dodicesimo posto con appena 31.259 euro in cassa.

La dimensione del mito affiora in punta di Penna

$
0
0

L'autore non fu soltanto realismo e trasgressione. Registrava le contaminazioni fra materia e spirito

Affrontare la lettura di questo «Meridiano» appena pubblicato da Mondadori, Sandro Penna, Poesie, prose e diari (pagg. 1420, euro 80) è interessante e necessario per avere una immagine più complessa e nuova di un poeta che molti (io compreso) conoscono soltanto per averlo letto nelle antologie, nonostante fosse stato indicato da Pasolini, con la sua solita irruenza da polemista astuto e consumato, come il più grande poeta lirico del Novecento.

Il curatore Roberto Deidier (la nota biografica è scritta con testimonianze di prima mano da Elio Pecora) avanza una proposta di lettura che io ho trovato stimolante. Sandro Penna non è semplicemente riconducibile alla linea antiermetica del secolo scorso. Secondo Deidier, questo poeta dalla vita travagliata, povera, marginale, è un poeta che ha nostalgia del futuro, che «combinando l'impossibile con il proibito (...) entra nel mito, lo abita dall'interno». Scrive ancora Deidier che «riconoscendosi come omosessuale, Penna proietta la sua identità su una matrice mitica, e vive miticamente ciò che il mondo delle categorie, la società eterosessuale, vorrebbe fargli vivere come un problema». Alfredo Giuliani definì Penna «una specie di polinesiano capitato per caso e da perfetto estraneo in mezzo alla società cristiano-borghese dell'Occidente». Ma temo che questa sia una ideologizzazione che appartiene più al critico che al poeta. L'innocenza sensuale e la grazia della povertà, che Italo Calvino attribuì a Penna avvicinandolo a Saba e marcandone le differenze da Caproni, non hanno niente di «polinesiano» o di esotico. Penna è poeta italiano e occidentale che, «intriso di una strana/ gioia di vivere anche nel dolore», è capace di proiettare nel mito le sue pulsioni e i suoi desideri: vicino in ciò ai greci antichi, più che a Kavafis (da cui lo trovo francamente molto diverso).

Mi sono dunque messo a leggere tutte le poesie di Penna cercando questa proiezione mitica nel suo mondo. Un mondo che è popolato innanzi tutto da maschi giovani, espressione che il poeta declina con tante varianti, quasi ossessive: giovini, giovinetti, giovanotti, fanciulli, fanciulletti, ragazzi, ragazzacci. Un mondo di corpi virili, afrori, peccati (che non sono più peccati), palestre, caserme, soldati, pisciatoi, operai, losche platee, stazioni con i loro orinatoi, tram, barbieri, atleti, negri, cinema, caffè all'aperto. Su tutto, una luce di luna leopardiana, un sentore di primavera, un desiderio di bellezza: e le ombre di Verlaine e Rimbaud, e, più lontano, di Hölderlin. Leggere in una chiave soltanto realista e trasgressiva un poeta di questa portata è davvero limitativo. Il mito appare dove certi meno se lo aspettano, ma dove io che lavoro sul mito da quarant'anni so che è sempre possibile trovarlo: nelle epifanie, nelle apparizioni, là dove materia a spirito, visibile e invisibile si confondono. Penna lo trova negli occhi neri di un fanciullo, unico dio a cui rivolgere preghiere, e in un giovinetto dio che «se ne va in bicicletta» e «bagna i muri con disinvoltura», la stessa con cui Rimbaud sfogava l'«acre bisogno» dopo trenta o quaranta bicchieri, pisciando «verso i cieli bruni, molto in alto e lontano». Lo trova nella volontà di una poesia che non sia leggera e fatta di parole delicate e malate ma lanci «la sua forza/ a perdersi nell'infinito», in un acrobata adolescente dentro cui vive tutta la tragedia oscura della Bellezza.

Mito è dove l'amore carnale, se eterosessuale o omosessuale non importa, sa espandersi sino a comprendere in sé l'universo: «Oh voglia di baciare un bel ragazzo./ Sole con luna, mare con foreste/ tutt'insieme baciare in una bocca». Mito è saper vedere la primavera nel rigonfiamento dell'angolo dei calzoni dei giovanotti, sentire odore di sole nei propri testicoli, intuire le piume leggere, quelle del dio Ermes, nella voce viva e gentile di un ragazzo, chiamare sacro il fuoco del piacere e invocarne il libero corso, sapere alla fine che la vita è un lieve sogno, e abbandonarsi a una invocazione così: «Ricordati di me dio dell'amore».

Mi è piaciuto questo percorso nei versi di Penna: e leggere qualche racconto come Un po' di febbre, Giulietto, La porta antica, pervasi da una grazia leggera, non ha aggiunto molto. Arrivato alla fine, non so quale posto dare a Penna nel mio personale pantheon. È chiaro che continuo a considerare Montale e Ungaretti superiori per la complessità della loro ispirazione e del loro pensiero, e per la varietà dei loro stili. Penna è monotematico, a tratti monocorde, e rischia di lasciarti con una visione delle cose dominata dalla sua ossessione, dai confini troppo stretti perché possa comunicare qualcosa universalmente. Lo sembra sapere anche lui: «Sempre ragazzi nelle mie poesie!/ Ma io non so parlare d'altre cose./ Le altre cose son tutte noiose./ Io non posso cantarvi Opere Pie». Alla fine, i testi che mi piacciono di più rimangono quelli che sapevo già a memoria, quell'Interno di misteriosa grazia: «E sopra un tavolaccio/ dormiva un ragazzaccio/ bellissimo./ Uscì dalle sue braccia/ annuvolate, esitando un gattino», o la cantabilità piena, ironicamente operistica di: «Trovato ho il mio angioletto/ tra una losca platea/ fumava un sigaretto/ e gli occhi lustri avea...».

Un movimento (nuovo di zecca) per i cattolici

$
0
0

Quale sarà il futuro dei cattolici in politica? Se lo sono chiesti Franco Garelli, nel suo Cattolici, Chiesa e politica. Dentro e oltre le emergenze (Cittadella, pagg. 111, euro 11,5): perché il mondo cattolico non riesce a riversare in campo politico le grandi risorse che manifesta nel volontariato? Ma anche Paolo Pombeni e Michele Marchi in La politica dei cattolici dal Risorgimento a oggi (Città nuova, pagg. 160, euro 15): da Murri a Sturzo, passando per De Gasperi, Moro, Andreotti, Fanfani ed altri. E infine Fabio Torriero, scrittore e direttore di Intelligonews.it, nella sua ultima fatica, Il futuro dei cattolici in politica. Dalla Dc al Family Day, la sfida alla società radicale di massa (Giubilei Regnani, pagg. 150, euro 14).

Secondo Torriero, l'unica formula politica possibile è un «fronte identitario antropologico», che accomuni tutti contro l'altro fronte, quello «trasversale della laicizzazione giacobina»: «centrodestra e centrosinistra sono molto più simili di quanto s'immagini: liberali in politica, liberisti in economia e laicisti sui temi etici. Allora ecco che deve nascere un nuovo collante, che deve essere basato sui valori antropologici. Altrimenti con le attuali leggi e visioni non abbiamo un altro tipo di società ma direttamente di umanità», così racconta al Giornale. Ecco il cattolico del futuro secondo l'autore. L'homo novus da contrapporre all'homo economicus, al continuo processo di secolarizzazione; che non presti più il fianco alle logiche di una politica distante ma che esca dalla dimensione privatistica della Fede, e si erga paladino di valori non negoziabili; che sia maturato, e quindi capace di superare i propri limiti: la mancanza di coscienza pubblica, di cultura di governo, la sindrome guelfa (ovvero la sudditanza verso l'istituzione ecclesiastica) e la sindrome ghibellina (come idea neutrale di laicità).

Nell'epoca del gender nelle scuole, dello ius soli, delle unioni civili, delle adozioni gay, della legalizzazione delle droghe leggere, i cattolici dovranno riprendersi il proprio tempo. Da qui, come riporta con efficace chiarezza l'autore, lo slancio del cattolico-politico verso la difesa di quei «valori non negoziabili» che Torriero riassume nel Manifesto finale. Dalla patria nazionale ed europea, allo Stato, come fine e mezzo per il bene comune; dalla legalità, fino alla dignità, alla sovranità e all'identità come amore. Fatti da non relegare più in un partito cattolico, lontani da ogni restaurazione democristiana o ciellina la Dc scrive Torriero, «non ha fermato la secolarizzazione della società», lasciando la formazione della coscienza sociale al Pci -, ma in un movimento che riesca a contrapporsi alla società radicale di massa, egoistica e consumistica figlia del '68.

Cattolici conservatori, liberali? Filantropi. Un movimento che si apra anche a chi non crede o addirittura a chi professa un'altra fede, nell'universalità di una battaglia. Non basta, quindi, essere bravi credenti, «che fanno la bella vita, con le scuole private, con la famiglia del mulino bianco, con tanti figli e così via, e poi dopo, per il resto, se le leggi uccidono i nostri figli chi se ne frega», racconta Torriero. L'esempio? Il Family Day. Un'occasione sprecata, secondo l'autore, perché non condotta verso la creazione di un movimento stabile e definito. Ma anche l'incipit fondamentale.

Corridoni e De Ambris Sovversivi non comunisti nell'Italietta borghese

$
0
0

Il primo morì in guerra nel '15. Il secondo, dopo la Fiume dannunziana, ne scrisse la biografia

È fascinoso un libro su un rivoluzionario raccontato da un rivoluzionario. Quando partì volontario per il fronte, a ventotto anni, Filippo Corridoni era una delle più celebri e discusse figure della politica italiana. Figlio di un operaio, a vent'anni si avvicinò al sindacalismo rivoluzionario con il giornale Rompete le righe; arrestato più volte, ammaliava le folle anche con la sua oratoria e il suo bell'aspetto, benché fosse malato di tisi. Il proiettile austriaco che lo colpì in fronte, il 22 ottobre 1915, lo portò subito nel pantheon degli eroi della guerra italiana. Era nato in un paese marchigiano che nel 1931 il regime fascista ribattezzò Corridonia, e che così continua a chiamarsi.

Tra i primi a creare il suo mito fu il toscano Alceste De Ambris, vecchio compagno di lotta che Filippo, in una lettera scritta poco prima di morire, aveva definito suo maestro e fratello. De Ambris non aveva la presenza scenica dell'amico, ma oltre che un teorico era un abile organizzatore: come segretario della Camera del Lavoro di Parma era riuscito a realizzare il primo grande sciopero agrario in Italia, e aveva contribuito a fondare importanti coalizioni sindacali. Già prima della Grande Guerra, i due rappresentavano un sindacalismo che credeva nel potere delle masse e nella necessità di rovesciare un sistema ritenuto corrotto e decadente. Credevano che si dovesse preparare la Rivoluzione con i fatti, e che il sindacato potesse divenire uno strumento di organizzazione per l'intera società.

Nel 1915 e i due pensarono che la guerra avrebbe instillato nelle masse una nuova coscienza nazionale e sociale. Sì, la guerra era un dovere nazionale e rivoluzionario, scrive De Ambris, spiegando la scelta condivisa con l'amico: Sì, dovevamo volerla e farla. Sì arruolò anche lui, benché avesse superato i quaranta anni e dopo essere stato costretto a rifugiarsi in Brasile e in Svizzera da due anni fosse deputato del Partito Socialista Italiano. Dopo la fine del conflitto, nel marzo 1919, collaborò alla stesura del manifesto dei Fasci di Combattimento, per le sue venature antiborghesi, anticlericali, futuriste, democratiche, sindacaliste, repubblicane; il gruppo di Mussolini, tuttavia, era ancora troppo minoritario per servire al suo scopo, e De Ambris imboccò un'altra via per la rivoluzione: a Fiume, con Gabriele d'Annunzio.

Il Poeta Soldato aveva dimostrato da tempo di essere un autentico rivoluzionario, non soltanto nella sua arte innovativa e nella sua vita inimitabile. Durante la guerra aveva mobilitato le piazze e combattuto valorosamente, creando una religione del sacrificio e dell'eroismo. Nel settembre 1919 si pose a capo di una colonna di legionari e occupò la città, senza sparare un colpo, per rivendicarne il diritto a unirsi all'Italia. Lo raggiunsero migliaia di visionari, adolescenti, artisti, scrittori e ribelli, uniti dalla speranza che il Vate potesse fondare quella società nuova che la guerra non era riuscita a produrre. L'occupazione, durata sedici mesi, fu scandita da manifestazioni dove la memoria della guerra si fondeva con feste gioiose, la libertà individuale con l'impegno politico. Mezzo secolo prima del Sessantotto, d'Annunzio inventò una politica fondata sull'immaginazione, sulla libertà artistica e sessuale, e sulla partecipazione collettiva.

De Ambris venne chiamato dal Comandante come suo capo di gabinetto. Si scambiarono opinioni, idee, visioni, pensando a una costituzione che riassumesse le istanze del sindacalismo rivoluzionario e le raffinatezze della sconfinata cultura dannunziana. Dall'esperienza di De Ambris e dalla penna di d'Annunzio nacque la Carta del Carnaro, capolavoro giuridico e letterario la cui modernità supera molti statuti democratici. Concedeva il suffragio universale femminile, stabiliva un sistema di rappresentanza diretta e il decentramento amministrativo, rendeva inalienabili il diritto al lavoro e alla proprietà, tutelava le minoranze etniche e introduceva il divorzio. Inoltre la Reggenza italiana del Carnaro sosteneva i diritti di tutti i popoli sottomessi dagli imperi coloniali e dal trust degli Stati ricchi.

D'Annunzio e De Ambris sognavano di trasformare quella costituzione nel manifesto di una rivoluzione italiana. Quando l'Impresa terminò per opera dei cannoni di Giolitti, nel Natale di Sangue del 1920, il poeta si rinchiuse al Vittoriale, in uno sdegnoso e meraviglioso ritiro che sarebbe durato sino alla morte; il sindacalista cercò di proteggere ciò che rimaneva di quell'esperienza. De Ambris si oppose apertamente all'ascesa del fascismo, ma Mussolini aveva ormai iniziato la sua marcia per il potere, dipingendola come coronamento della rivoluzione nazionale sognata dai legionari di Fiume e da combattenti come Corridoni, proclamati precursori ufficiali degli squadristi.

Nel 1922 De Ambris pubblicò la biografia di Corridoni, oggi riedita da Historica edizioni. Il volume scritto senza pretesa di una rigida e gelida obiettività - ripercorre la storia di Corridoni dall'inizio della sua rocambolesca attività di sovversivo. Nega come del resto anche Giuseppe Di Vittorio - che sarebbe mai diventato fascista, e racconta la storia della loro amicizia, insieme a quella di una generazione che voleva provocare la seconda grande rivoluzione del Novecento, senza essere comunista.

Nell'anno della Marcia su Roma, il libro rappresentò l'ultimo atto di lotta di De Ambris prima di partire per un esilio senza ritorno. La sua eredità politica, però, sarebbe sopravvissuta. Nel 1923, quando gli squadristi attaccarono Parma, furono sconfitti da una coalizione di lavoratori e reduci promossa da De Ambris e riuniti nella Legione proletaria Filippo Corridoni. Anni dopo, quando gli antifascisti in esilio si riunirono nel movimento Giustizia e Libertà, scelsero il motto Insorgere - Risorgere, le parole d'ordine della sollevazione progettata da d'Annunzio e De Ambris.

Il sindacalista visse gli ultimi anni in povertà, senza rinunciare all'attività antifascista benché Mussolini gli offrisse di tornare in Italia e prendere un posto di grande rilievo nei sindacati del regime. Morì il 9 dicembre del 1934 durante una riunione di esuli della Lega Italiana per i Diritti dell'Uomo, e soltanto trent'anni dopo la sua salma venne trasferita nel cimitero della Villetta, a Parma.

@GBGuerri

Gli scatti musicali di Harari sono un concerto di immagini

$
0
0

Il grande fotografo ricorda la timidezza di Morricone e l'eccentricità di Patti Smith. "Ma oggi non c'è carisma"

Guido Harari la sua nuova scommessa l'ha già vinta: aprire ad Alba, nel cuore delle Langhe, una galleria d'arte che si dedica solamente alla fotografia di musica. Wall of Sound, attiva dal 2011, ha già esposto i più grandi nomi di un settore solo apparentemente per specialisti, in realtà amato dal pubblico di fans che a prezzi ragionevoli possono portarsi a casa ritratti di Dylan o del Boss, di Hendrix o dei Beatles. A Londra, New York, San Francisco realtà del genere ce ne sono diverse, in Italia la Harari Factory potrebbe rappresentare un unicum. È una cultura della fotografia che Guido supporta con attività di ogni genere, seminari, incontri, laboratori, pubblicazioni. Se gli chiedi il perché della provincia, lui, apolide, nato al Cairo nel '52 e cresciuto professionalmente a Milano, aldilà della scelta di vita personale e sentimentale, risponde che «nella grande città si sarebbe rischiato di consumare tutto troppo rapidamente». E comunque ad Alba, «passano circa 800mila persone l'anno. E poi è davvero una dimensione ideale per pensare ad altri progetti come i libri, per i quali ci vuole tempo».

Mentre la galleria di Alba ospita un ricordo di Jeff Buckley a vent'anni dalla misteriosa scomparsa, la Fondazione Bottari Lattes propone a Monforte (fino al 2 settembre) una particolarissima retrospettiva dell'opera fotografica di Harari: «Wall of Sound 10», ovvero la nuova versione di una mostra all'aperto nello stesso paesino piemontese, dieci anni dopo, ampliata con immagini inedite, un viaggio attraverso i gusti musicali dell'autore e nella storia del rock italiano e internazionale. Già, il rock, non è forse oggi un fenomeno residuale, appannaggio di un solo pubblico di adulti con il suo carico di nostalgia? «In effetti - dice Guido - nel presente non vedo figure carismatiche, non si sta affacciando nessuna rivoluzione, la musica non rappresenta più una generazione e persino il rap, ascoltato dai giovanissimi, si è impastato con il pop più commerciale». Dunque, niente da fotografare? «Niente. Vorrei scovare cose nuove. Impossibile. C'è inoltre il problema dell'accesso alle cosiddette rockstar, limitato, negato da manager intransigenti, mentre negli anni '70 era sufficiente essere un fan e portarsi dietro la propria macchina per arrivare nel backstage dei tuoi miti». Dal ritratto immortale che ha fatto storia, si è passati all'estetica del selfie, forse basta questo a spiegare la fine di un'era.

E qui, in mostra, il muro dei suoni ci scorre straordinario davanti agli occhi, le stesse immagini, le stesse inquadrature che Harari ha avuto la capacità di immortalare: Patti Smith scalza, Leonard Cohen con le mani a camuffare le espressioni del volto, Tom Waits avvolto in un mantello. E poi Kate Bush, Bruce Springsteen, Nick Cave, Frank Zappa, gli Stones, Vasco e tanti altri. Cinquanta foto, realizzate fra il 1976 e il 2013. Alcune facili, immediate, altre difficili, quasi impossibili, «come quella di Ennio Morricone che si vergognava, non voleva apparire e nascondendosi dietro una porta l'inquadratura l'ha creata lui stesso». Il contrario di Patti Smith, attrice consumata, che prima del concerto a Villa Arconati, nel 1996, si rende disponibile a diversi scatti, fino a sedersi in terra senza scarpe, mentre l'obiettivo del fotografo coglie ogni dettaglio dello sfondo, per uno scarto tra l'animo punk di lei e gli sfondi barocchi della sala. Un capolavoro.

Con Lou Reed Harari ha avuto un lungo rapporto di complicità e fiducia, un sentimento emerso come in una seduta psicanalitica. E poi c'è il blues, da dove è stato capace di tirare fuori l'anima di vecchi neri e delle loro storie di frontiera. E gli amici italiani, che gli hanno commissionato a più riprese shooting per gli artwork dei loro album: Lucio Dalla, Vinicio Capossela, Giorgio Gaber, cui Harari ha dedicato anni fa il saggio Quando parla Gaber, uscito per Charelettere. Dopo Monforte, la mostra sarà a Torino «adeguatamente remixata» nello spazio più piccolo della Fondazione Bottari Lattes, dal 26 ottobre al 24 dicembre. Da gustare ad alto volume.

Viewing all 39554 articles
Browse latest View live